Dopo tre anni di trattamento con luspatercept, circa la metà dei pazienti riduce del 50% il fabbisogno di trasfusioni e il 12% ne ottiene l’indipendenza per più di due mesi. Questi due dei nuovi risultati dello studio Believe, presentati a Vienna nella prestigiosa vetrina dell’Eha 2022, il congresso dell’Associazione europea di ematologia. Il nuovo farmaco, rimborsato dall’Aifa nel 2021, permette di ridurre di oltre il 30% la necessità di sangue, con un grande miglioramento della qualità di vita, sottolinea una nota. La beta-talassemia è una malattia genetica trasmessa da due genitori asintomatici o portatori sani, che colpisce circa 7mila persone in Italia, 5mila nella forma più grave, la ‘major’. Richiede continue trasfusioni, ogni 2-3 settimane e per tutta la vita, con il rischio di incorrere in accumuli di ferro che possono danneggiare cuore, fegato e pancreas. Per questa ragione, devono essere assunti farmaci ferrochelanti, che a loro volta possono causare effetti collaterali. Lo studio internazionale Believe, già pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, ha evidenziato come, su più di 300 pazienti con talassemia trasfusione dipendente, il 70% grazie a luspatercept ha ottenuto una riduzione iniziale del 33% del fabbisogno trasfusionale. I dati sono presentati oggi in una conferenza stampa virtuale, promossa da Celgene ora parte di Bristol Myers Squibb.
Le mutazioni
“Conosciamo più di 350 diverse mutazioni del gene beta-globinico che causano la malattia, ma dal punto di vista clinico le talassemie vengono classificate in forme trasfusione dipendenti (talassemia major) e in forme non trasfusione dipendenti (forme intermedie) – afferma Maria Domenica Cappellini, già direttore dell’unità operativa di medicina interna, responsabile del Centro malattie rare, coordinatore del nucleo malattie rare all’Irccs Fondazione Cà Grande ospedale Maggiore Policlinico di Milano –. La major colpisce circa l’80% dei pazienti, è la più severa e richiede una terapia trasfusionale continua, mentre le forme intermedie richiedono controlli periodici e occasionali trasfusioni in momenti particolari, come gravidanze, interventi chirurgici o infezioni”. “Nella forma più grave – prosegue – le manifestazioni della malattia si verificano già da neonati, con livelli di emoglobina molto bassi, aumento di volume di fegato e milza e rallentamento della crescita. Le intermedie si possono presentare invece più avanti nel tempo e con sintomi meno gravi. La causa principale che determina l’anemia grave e le manifestazioni cliniche è l’eritropoiesi inefficace, conseguenza del deficit di produzione delle catene globiniche che formano l’emoglobina. Il nuovo farmaco la riduce: di conseguenza diminuisce anche l’anemia. Ha un profilo di sicurezza tollerabile e rappresenta una prospettiva di enorme interesse come alternativa alla terapia tradizionale di trasfusioni e ferrochelazione”.