È partito dal ruolo della propria istituzione il presidente di UniTrento Daniele Finocchiaro, nell’ultimo appuntamento con i tavoli di lavoro tematici convocati per avviare un confronto tra l’ateneo e gli stakeholders territoriali in vista dell’assemblea pubblica di ateneo che si terrà a inizio 2022. E lo ha fatto con un’annotazione autocritica: “Io sono uscito dall’università a 25 anni, e se non ci fossi rientrato per l’incarico che ricopro oggi, forse non ci sarai entrato più. Se vogliamo realmente parlare di formazione continua e di innovazione delle competenze, allora anche l’università deve mettersi in gioco”. Il tema ha richiamato attorno al tavolo di Palazzo Sardagna i rappresentanti delle istituzioni e degli enti che sul territorio si occupano di formazione, di competenze, di abilità per l’imprenditorialità: oltre all’assessore provinciale Mirko Bisesti, per il sistema provinciale erano presenti Roberto Ceccato, dirigente generale del dipartimento istruzione e cultura; Laura Pedron, dirigente generale del dipartimento sviluppo economico ricerca e lavoro; e Stefania Terlizzi, dirigente generale dell’Agenzia del lavoro di Trento. Accanto a loro, Maurizio Silvi e Antonio Accetturo direttore e capo della divisione analisi e ricerca economica territoriale della Banca d’Italia; Bruno Degasperi, direttore dell’azienda speciale della Camera di commercio che si occupa di formazione per l’impresa; Maria Cristina Poletto, responsabile dell’area Education e formazione di Confindustria Trento; Mario Barbieri, referente relazioni istituzionali di Umana spa e Andrea Grosselli, segretario Cgil del Trentino.
Un tavolo che ha animato la discussione su quello che Riccardo Salomone, coordinatore dei lavori, ha descritto come un compito allo stesso tempo pratico e teorico: “Innovare le competenze è una pratica che unisce aspetti molto concreti, legati al momento in cui ci si trova e alle scelte che si devono compiere, ad esempio quali materie studiare, definire i programmi di un corso, stabilire quali abilità aggiornare. Allo stesso tempo però, richiede riflessioni molto meno contingenti e più astratte, come percepire le opportunità del futuro, valutare idee, stabilire quali e quanti rischi correre. È un lavoro su due livelli che può essere cruciale nel determinare il successo o il fallimento di un percorso di studi, di un’azienda, di un nuovo laboratorio di ricerca, di una partnership. Persino nello stabilire il livello di competitività futura di un territorio”.
Uno spunto raccolto da Silvi e Accetturo, che hanno puntato l’obiettivo sulla necessità di non sovrapporre il corretto processo di innovazione delle competenze con la tendenza a specializzarle troppo, sottolineando come nelle selezioni per entrare in Banca d’Italia, ci si ritrovi spesso davanti a tanti bravi specialisti a cui manca però una visione d’insieme dell’economia, necessaria invece per cogliere l’ampiezza dei problemi e la complessità dei dossier. Della vastità del lavoro da fare, ma anche della bontà del percorso intrapreso dalla Provincia per farvi fronte, si è detto convinto il dirigente dell’istruzione Ceccato, che ha chiesto l’aiuto di UniTrento per migliorare la qualità didattica nelle materie stem (ovvero le discipline scientifico-tecnologiche), rivendicando “il grande lavoro fatto sulle competenze della cittadinanza globale e dell’educazione civica, sullo sviluppo delle abilità linguistiche, sulla mobilità internazionale, nell’aggiornamento delle competenze digitali e sui temi dell’inclusione”. Un sistema dell’istruzione, quello trentino, considerato da tutti i partecipanti al tavolo molto buono, e che tuttavia, secondo Laura Pedron, ha bisogno di riconoscere una maggiore centralità al tema della formazione continua, un ambito nel quale anche l’università dovrebbe trovare un ruolo meglio definito.
Formazione degli imprenditori
Una delle direzioni che è stata più discussa e verso la quale esercitare questo maggiore protagonismo, è quella della formazione degli imprenditori. “Quello provinciale – ha chiarito Degasperi della Camera di commercio – è un enorme tessuto fatto per la quasi totalità da microimprese, nelle quali la figura dell’imprenditore e quella del manager coincidono, e dove chi ha la responsabilità dell’azienda lavora senza avere tutte le informazioni e sfidando l’ignoto. È una sfida continua per vincere la quale devono essere aiutati e l’università in questo può fare la differenza». Una mission condivisa da Mario Barbieri e rispetto alla quale Poletto, di Confindustria, allarga ulteriormente il campo: «Senza invasioni, ma in modo stabile e costante, dobbiamo accentuare le collaborazioni per orientare al meglio i percorsi di studio, i contenuti, ma anche per accompagnare manager e imprenditori nel loro lavoro”. E proprio il lavoro e le sue declinazioni territoriali sono state al centro delle annotazioni di Grosselli e Terlizzi. Il primo, auspicando a nome delle parti sociali la nascita di un apprendistato di terzo livello, in grado di coniugare la permeabilità dei saperi e la flessibilità dell’offerta formativa; la seconda richiamando l’attenzione sulla necessità di ridisegnare il sistema delle politiche attive: “Superando sia la logica verticale per la quale qualcuno dall’alto capisce e decide per tutti cosa serve per risolvere il mismatch di competenze, ma anche non fermandosi all’idea che basti capire cosa serve all’impresa o al lavoratore. Perché il punto è cosa serve al territorio per crescere”. Uno spunto al quale si è collegato l’assessore Bisesti: “Dobbiamo far passare un concetto: quello che è necessario uno sforzo corale per innalzare il livello qualitativo della nostra offerta, dalle scuole professionali ai licei. La Provincia investe molte risorse e ha la possibilità di concertare senza intermediazione le proprie azioni con le realtà che si occupano della formazione dalle primarie all’università. Dobbiamo dunque fare un passo avanti nella relazione di rete tra questi attori”.