Grande partecipazione alla Fondazione Mach di Trento per il seminario scientifico e la cerimonia di premiazione della prima rassegna nazionale dei vini ottenuti da varietà resistenti alle malattie fungine. Ad aprire l’evento sono stati il presidente FEM Mirco Maria Franco Cattani, l’assessore provinciale all’agricoltura della Provincia autonoma di Trento, Giulia Zanotelli, il presidente del Consorzio innovazione vite, Enrico Giovannini, e il presidente di Piwi international, Alexander Morandel.

Promuovere la conoscenza

A questa prima rassegna nazionale hanno partecipato 56 aziende con 95 vini, che sono stati attentamente valutati il 18 novembre da una commissione composta da qualificati esperti. I 30 commissari hanno attribuito un punteggio ma anche ai parametri descrittivi ai vini presenti in ognuna delle cinque categorie previste: rossi, bianchi, orange, frizzanti, spumanti. L’evento, supportato dal Consorzio innovazione vite e dall’associazione Piwi international, si proponeva di promuovere la conoscenza delle nuove varietà attraverso un confronto tra vini prodotti con almeno il 95 per cento di uve provenienti da varietà Piwi (PilzWiderstandsfähig). “La prima rassegna nazionale dei vini ottenuti da uve “Piwi” rappresenta un ulteriore passo, importante, della Fondazione Edmund Mach verso la valorizzazione dei vini resistenti – ha spiegato in apertura il presidente FEM, Mirco Maria Franco Cattani-. Per Fem è, quindi, quasi consequenziale rendersi promotrice di questo primo evento nazionale, un’attività di evoluzione scientifica e colturale, che vede protagonisti, da anni, anche alcuni dei nostri più sensibili ed appassionati produttori locali. L’attenzione al benessere ed allo sviluppo armonico del territorio nel quale insiste è quindi la missione infusa nel dna della Fondazione, che è nata e vive per gli agricoltori del Trentino, ma è ormai riconosciuta da decenni come elemento di riferimento scientifico anche in ambito nazionale e internazionale”.
L’assessore all’agricoltura della Provincia di Trento, Giulia Zanotelli, ha spiegato che oggi è un momento importante, frutto del lavoro da parte di FEM ma anche dei soggetti del mondo agricolo trentino. “Parliamo di uve e vini resistenti: sono termini che stanno all’interno delle politiche del Green deal e della nuova Pac. A testimonianza del fatto che il Trentino ha saputo anticipare questi temi puntando all’innovazione, alla ricerca e, in particolare, al miglioramento genetico”. L’assessore ha ricordato nel suo intervento le figure di Rebo Rigotti, Italo Roncador, il professor Scienza che hanno dato un forte impulso a San Michele al miglioramento genetico, oggi portato avanti dal Centro ricerca e innovazione. “Questo evento è un punto di partenza e dobbiamo impegnarci tutti verso la ricerca e la formazione costante, per garantire alla nostra agricoltura un futuro”.

Nuove strategie di sviluppo

E’ seguito l’intervento di Enrico Giovannini, presidente del Consorzio innovazione vite, che ha spiegato come in questi ultimi anni i vivaisti viticoli hanno cercato di raccogliere i segnali e le indicazioni dei viticoltori e delle cantine per mettere in atto nuove strategie di sviluppo. “E’ stata chiesta innovazione – ha evidenziato- per quanto riguarda la resistenza alle principali patologie fungine, in modo da ridurre gli interventi fitosanitari”. Alex Morandel, presidente di Piwi international, ha spiegato che una iniziativa come questa “fornisce spirito e stimolo al tema della viticoltura sostenibile. Piwi international vive di questo spirito, dell’impegno delle strutture, dei viticoltori e di tutti coloro che stanno muovendo in questo settore”. Il professor Mario Pezzotti, dirigente del Centro ricerca e innovazione, ha moderato il seminario scientifico, ed ha evidenziato come questa iniziativa valorizzi il tema della sostenibilità in viticoltura, che non è più procrastinabile nell’immediato futuro. Significa portare la coltivazione della vite verso la transizione ecologica attraverso l’innovazione genetica ottenuta da lunghi e costosi programmi di miglioramento genetico”. Marco Stefanini, responsabile dell’Unità di genetica e miglioramento genetico della vite, ha presentato nel dettaglio i dati della rassegna. A lui, ad Andrea Panichi, coordinatore del Dipartimento istruzione post secondaria e a Maurizio Bottura, responsabile dell’unità viticoltura, in qualità di referenti organizzativi di questo evento, è andato l’applauso del numeroso pubblico. Un ruolo importante in questa iniziativa è stato svolto dagli studenti della FEM che hanno supportato la commissione nelle fasi di degustazione, e hanno collaborato nella predisposizione dei tavoli di assaggio e nella preparazione dei prodotti agroalimentari (percorso di formazione professionale).

Le relazioni scientifiche

Tre le relazioni scientifiche che sono seguite di saluti di apertura: “Il meticcio ci salverà o meglio salverà la viticoltura” di Attilio Scienza dell’Università di Milano, ““Uguali, diversamente: la composizione dei vini dai vitigni tolleranti ai patogeni fungini” a cura di Fulvio Mattivi professore dell’Università di Trento, “Il futuro del vino nell’era della sostenibilità” di Luigi Moio, presidente dell’Organizzazione internazionale della vite e del vino. Il professor Attilio Scienza ha spiegato che in analogia alla revisione dei concetti di “razza umana”, portata avanti dalla moderna antropologia (in particolare con il contributo di Cavalli Sforza, che ha proposto negli anni ’70 la rimozione del concetto stesso di razza), anche in ampelografia nuove scoperte guidano ad un ripensamento della presunta “purezza” della vite europea nei confronti di quella americana. Una recente ricerca sull’origine del genere Vitis propone infatti il centro di partenza della diffusione di questo genere proprio nel Nuovo Mondo, da cui quindi le specie sarebbero migrate durante il tardo Eocene (circa 40 milioni di anni fa) in Eurasia. Con questo diverso punto di vista, si potrà forse concludere che non ci sono viti di serie A, i vitigni europei, e viti di serie B, le specie americane; conseguenza pratica: si potranno forse usare finalmente i nuovi vitigni resistenti anche per produrre vini Doc.
Il professor Fulvio Mattivi ha parlato del La ricerca di vitigni tolleranti risale almeno alla fine del XIX secolo, come soluzione contro la fillossera e una serie di nuovi patogeni arrivati dall’America. A poco a poco, si era riusciti a selezionare vitigni di qualità. Ma l’arrivo della difesa chimica ha visto abbandonare quasi del tutto queste linee di ricerca, anzi, negli anni ’60 partì una demonizzazione degli ibridi tolleranti ai patogeni, basato – con la consapevolezza odierna – su argomentazioni pretestuose. Ora, l’aumentata pressione e resistenza ai fitofarmaci dei patogeni, l’impatto crescente dei cambiamenti climatici – che pone in dubbio l’esistenza stessa di alcuni vini come oggi li conosciamo – e l’aumentata sensibilità ambientale, hanno portato numerosi centri di ricerca a puntare nuovamente sull’utilizzo della biodiversità esistente all’interno della vite. Le varietà di oggi sono il risultato di svariate generazioni di reincrocio con le viti europee, raggiungendo una notevole vicinanza genetica con la Vitis vinifera, così che per questi vitigni il termine “ibrido” è ormai desueto. Da alcuni di essi si possono ottenere vini di elevata qualità ed anche di eccellenza; dunque tale sviluppo favorisce una viticoltura a basso impatto, legata al clima e al territorio, ma non certo a scapito della qualità.
Secondo il professor Luigi Moio il vino è diventato un vero e proprio bene culturale ed emozionale, risultato del controllo di profonde conoscenze di naturali fenomeni biologici e biochimici. Lo scenario di oggi, a causa degli evidenti cambiamenti climatici, rischia di indebolire la diversità sensoriale dei vini ed il suo stretto collegamento con il concetto di “terroir”. Se si favorisce il perfetto adattamento tra il genotipo e l’ambiente, ovverosia coltivare la pianta che maggiormente si adatta al contesto pedoclimatico in cui si opera, anche il vino che si otterrà, oltre ad essere più “sostenibile”, sarà armonico in tutti i suoi componenti e il suo equilibrio sarà principalmente dovuto alla perfetta combinazione tra pianta, suolo e clima; in tal caso, si creano quelle condizioni che si definiscono di “enologia leggera”, che necessita di un numero di interventi minimi in cantina, dunque quanto mai attuale rispetto ai temi ambientali e di salute del consumatore.