I legumi rappresentano una coltivazione ancora poco sfruttata visto il basso costo, l’alto valore nutrizionale e i benefici ambientali derivanti dalla loro coltivazione. Un ettaro coltivato può trattenere fino a 200 kg di azoto, abbattendo l’emissione di CO2 ed evitando l’utilizzo di concimi azotati, e studi scientifici evidenziano che il consumo giornaliero di legumi aiuta a diminuire fino al 38% la possibilità di infarto. Al mondo, su circa 81 milioni di ettari coltivati a legumi, i fagioli secchi sono al primo posto (34% produzione globale), seguiti da ceci (18%) e piselli (14%), ancora scarsa la coltivazione in Italia. E’ quanto emerso nel corso del sesto incontro 2021 de “I mercoledì dell’Archiginnasio” promossi dall’Accademia nazionale di agricoltura. I relatori sono stati il professor Paolo Parisini, già associato di produzioni animali all’Università di Bologna e imprenditore agricolo, la professoressa Cristina Angeloni, associato di biochimica all’Università di Camerino, il dottor Maurizio Campiverdi, delegato onozrario Bologna San Luca Aic, e il dottor Paolo Ranalli, già direttore del dipartimento di trasformazione e valorizzazione dei prodotti agroindustriali del Crea.
La produzione mondiale è di 81,8 milioni di ettari, auspicabile un suo aumento in Italia
“A livello mondiale, le colture di leguminose occupano 81,8 milioni di ettari con una produzione globale di 74,7 milioni di tonnellate e una produttività media di 913 kg/ha. I fagioli secchi contribuiscono per il 34% alla produzione globale di legumi, seguiti da ceci (18%), piselli (14%), fagiolo dall’occhio (7%), lenticchie (6%) e fave (5%). I legumi – ha esordito il professor Parisini – sono l’alimento base della dieta di diverse popolazioni nel mondo, soprattutto per il loro alto valore nutritivo e il basso costo e forniscono nutrienti essenziali, tra cui proteine, carboidrati a basso indice glicemico, fibre alimentari, minerali e vitamine. Non tutti sanno che l’elevato contenuto di proteine è legato alla loro peculiare capacità di fissare l’azoto dall’atmosfera attraverso l’azione di batteri simbionti del genere Rhizobium che vivono sulle loro radici. In Italia è auspicabile un netto aumento delle superfici e delle rese ettariali per soddisfare l’aumento dei fabbisogni e per sfruttare i molteplici fattori positivi quali, la capacità azoto fissatrice, l’apporto elevato di proteina, la possibilità, per alcuni legumi, di essere coltivati in terreni poveri e non irrigabili e permettere la rotazione nella coltivazione di cereali senza ricorrere a massive quantità di concimi”.
Migliorano salute del colon, sensibilità all’insulina e diminuiscono i rischi cardiaci
“I legumi sono ricchi di vitamine del gruppo B e di minerali quali ferro, zinco, calcio, magnesio, selenio, fosforo, rame e potassio, mentre sono poveri di vitamine liposolubili e possiedono elevati quantitativi di carboidrati a basso indice glicemico, amido resistente, oligosaccaridi e fibra. Questi passano non digeriti attraverso lo stomaco e l’intestino tenue fino a quando raggiungono il colon, dove agiscono come “prebiotici”, un vero e proprio alimento per i batteri “probiotici” che qui risiedono. La fermentazione – ha proseguito la professoressa Angeloni – di questi composti da parte del microbiota intestinale porta alla formazione di acidi grassi a catena corta, come il butirrato, che può migliorare la salute del colon e ridurre il rischio di cancro al colon. La fibra ha anche un’azione saziante che può aiutare a ridurre l’assunzione di alimenti e può aiutare a regolare la glicemia dopo i pasti e migliorare la sensibilità all’insulina. Diversi studi hanno evidenziato un’associazione tra un elevato consumo di legumi e un minor rischio di soffrire di patologie cardiovascolari ed è stato suggerito che l’assunzione di 150 g/giorno di legumi cotti nella dieta sia associata a una minore mortalità nella popolazione. Nei paesi dell’America Latina dove l’assunzione giornaliera di legumi è più alta, più di 86 g/giorno, numerosi studi medici hanno evidenziato un rischio inferiore del 38% di infarto del miocardico”.
Ammollo, bollitura, fermentazione aumentano i nutrienti e il sapore dei legumi
“Il consumo di legumi contrasta l’iperlipidemia ed è stato riportato che i composti fenolici dei legumi esercitano attività antinfiammatorie e antiossidanti. Le proteine dei legumi risultano però incomplete, tranne la soia, a causa del contenuto relativamente basso di aminoacidi essenziali contenenti zolfo, per questa ragione i legumi dovrebbero essere assunti insieme a buone fonti di aminoacidi solforati come, per esempio, i cereali. I legumi – ha continuato la professoressa Angeloni – pur essendo ricchi di nutrienti, hanno una bassa densità energetica grazie ad un ridotto contenuto di lipidi ad eccezione di soia e arachidi, che presentano livelli significativi di acidi grassi mono e polinsaturi. In generale, i lipidi sono una buona fonte di acidi grassi essenziali quali acido linoleico (21%-53%) e alfa-linolenico (4%-22%), tuttavia, la qualità nutrizionale dei legumi può essere compromessa dalla presenza di fattori anti-nutrizionali. Tra i fattori anti-nutrizionali vi sono inibitori enzimatici, lectine, fitati, acidi fenolici, flavonoidi e amminoacidi tossici. Si tratta di sostanze fitochimiche che riducono la digestione e l’assorbimento dei nutrienti o interferiscono con la loro azione. Tecniche tradizionali di preparazione degli alimenti come l’ammollo, la bollitura, la germinazione e la fermentazione non migliorano solo il sapore e l’appetibilità dei legumi ma anche aumentano la biodisponibilità dei nutrienti, degradando o allontanando i suddetti fattori anti-nutrizionali”.
Necessità di aggiornamenti e innovazioni per rilanciare le leguminose in Italia
“La prerogativa delle leguminose di fissare nel suolo l’azoto dell’aria attraverso la simbiosi radicale con batteri del genere Rhizobium, un ettaro coltivato a fava può fissare fino a 200 kg di azoto, affranca l’agricoltore dal ricorso ai concimi azotati ottenuti per sintesi chimica e abbatte l’immissione di CO2 nell’atmosfera. Oggi – ha concluso il dottor Ranalli – si prende atto della marginalità piuttosto esigua di queste piante in tutti i contesti colturali e, in prospettiva, il rilancio delle leguminose nell’agricoltura italiana può sicuramente giovarsi dei sussidi erogati dalla Ue, attraverso la Pac. Gli input più significativi devono però venire dallo sviluppo di nuove cultivar resistenti a stress biotici e abiotici, resilienti e più adatte alle nuove condizioni colturali provocate dai cambiamenti climatici. Per avere successo, tali azioni devono essere supportate da un aggiornamento puntuale delle innovazioni che la ricerca e la sperimentazione mettono a punto e a oggi, purtroppo, non ci sono compendi monografici su queste piante”.