Rose bianche. Si partiva da piazza Castello e in processione laica, silenziosa ma non cupa, si percorreva tutta via Oggero, il serpentone che attraversa il quartiere Ronzone, per arrivare a deporre i fiori bianchi alla “spianata dell’Eternit”. Così si era cominciato a chiamarla dopo che i vari edifici che avevano composto lo stabilimento dei tubi e delle onduline di amianto erano stati abbattuti. Ora lì sorge il Parco Eternot. Per ottant’anni la fabbrica era stata cuore pulsante dell’economia cittadina fino a che il velo (di puvri?) è scivolato mettendo a nudo la sembianza del mostro che si nascondeva dietro il paternalista volto benefico del lavoro ben remunerato, del posto sicuro per mettere da parte i soldi con cui costruirsi la casa e far studiare i figli, dei doni della Befana per i bambini degli operai e delle operaie, del litro di latte ogni giorno.
Nella Giornata mondiale per le vittime dell’amianto, Casale Monferrato era guardata, dal mondo intero, come la città simbolo di ribellione al maleficio della fibra invisibile e di resilienza tenace e dignitosa. Erano gli anni – dal 2009 in poi – in cui il maxiprocesso, nei confronti degli ultimi due patron di Eternit ancora in vita – l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier -, era in pieno svolgimento a Torino. I riflettori erano accesi e anche la politica si mostrava sensibile a prese di posizione concrete e forti. La procura, partendo da un singolo caso di morte per mesotelioma (il tumore causato dall’amianto, dopo lunghissima e silente incubazione nei polmoni o nel ventre di persone ignare) aveva indagato e svelato anni di manipolazioni e nascondimenti di informazioni sugli effetti cancerogeni della fibra d’amianto. C’era chi sapeva e taceva, anzi si adoperava per non far sapere.
Il maxi processo
Poi il maxi processo, dopo due gradi di giudizio in cui è stata accertata la responsabilità degli imputati, è praticamente finito nella polvere, spazzata via dalla prescrizione decretata dalla Corte di Cassazione nel terzo e definitivo grado di giudizio. L’imputato Schmidheiny (l’anziano De Cartier, nel frattempo, è morto) non è stato scagionato dalla responsabilità di disastro doloso, ma, con la prescrizione, si è sancito che non avrebbe pagato: né penalmente né civilmente per quanto riguarda i risarcimenti. La procura di Torino ha successivamente messo in piedi un nuovo impianto accusatorio nei confronti dell’imprenditore svizzero, ora imputato dell’omicidio volontario di oltre 250 uomini e donne morti d’amianto (alcuni ex operai dell’Eternit, altri cittadini che non hanno mai lavorato nella fabbrica).
Nuovo dibattimento
Anche questo procedimento ha incontrato difficoltà, frazionamenti e dilatazioni di tempi. Il 9 giugno dovrebbe iniziare il processo in Corte d’Assise. Dove? A Novara, sede giudiziaria individuata per motivi tecnico giuridici, ma che è sganciata territorialmente da quella tragedia. E’ vero che l’emotività non deve entrare in un’aula giudiziaria o, almeno, non nelle coscienze dei magistrati chiamati a valutare in modo oggettivo la colpevolezza o no dell’imputato, ma, senza la comprensione profonda di che cosa ha prodotto quell’infezione criminale (acuta e purulenta per chissà quanti anni ancora), è difficile ricostruire il contesto in cui la contaminazione è avvenuta. E’ difficile mettere a fuoco l’ingiustizia e la malafede che l’ha generata. In termini giuridici: il contestato dolo che l’ha prodotta.
La voce della protesta
E, intanto, sono trascorsi anni; a molti dei combattenti di Afeva (Associazione famigliari e vittime) impegnati senza risparmio nella ultratrentennale battaglia contro l’amianto si è affievolita la voce per l’età, per la fatica, talora per la delusione. La ricerca scientifica per trovare la cura contro il mal d’amianto procede, forse con meno vigore e risorse di quanto sarebbe necessario (e di quanto alcuni si erano impegnati a fare): guarire dal mesotelioma resta la priorità assoluta (non sempre lo si comprende, l’argomento non piace e lo si evita, fino a quando il male non ti cattura). Per la Giornata mondiale delle vittime dell’amianto, l’Infrastruttura Irfi (Ricerca Innovazione Formazione) dell’Azienda ospedaliera di Alessandria ha organizzato, il 28 aprile, un incontro online per aggiornare su “La ricerca della cura. Mesotelioma ne parliamo con”: Alessandro Marinaccio, del Registro nazionale mesoteliomi e dell’Laboratorio di Epidemiologia dell’Inail, e Alessandra Curioni, responsabile dell’Oncologia toracica capogruppo di ricerca del Dipartimento di Oncologia medica ed ematologia dell’ospedale universitario di Zurigo; introduzioni di Marinella Bertolotti, dirigente del laboratorio di epidemiologia clinica e biostatica di Alessandria, e Federica Grosso, responsabile Mesotelioma Ao Alessandria.
Le bonifiche
Le bonifiche, poi, avanzano e Casale Monferrato, pur non del tutto amianto free, è comunque la città più liberata al mondo dalla fibra. La giustizia, infine, seguirà il passo che le è stato assegnato. Ricerca, bonifica, giustizia. I tre cardini.
Ma ora se ne aggiunge un quarto, urgente e imprescindibile: l’arruolamento di nuove generazioni. Serve adesso, subito.
Ecofficina e Aula interattiva Amianto/Asbesto (a cura della Rete ScuoleInsieme e Afeva, con sede all’Istituto Balbo) benissimo hanno fatto a condurre un’indagine tra gli allievi delle scuole medie e superiori casalesi; hanno risposto 788 ragazzi pari al 22,2% della popolazione studentesca: un campione statisticamente significativo. Sono state poste otto domande, ne cito due. Che cosa rimane nella tua memoria della tragica storia dell’amianto a Casale Monferrato? Saresti disposto a dedicare un po’ del tuo tempo alle attività dell’Aula Amianto sui temi della sostenibilità ambientale?
Dall’analisi del questionario emerge che la memoria, tenuta viva per anni con storie raccontate in diretta, con fiabe, film, concorsi e conferenze, rischia di affievolirsi velocemente, e naufragare. Ma, e questa è la notizia buona, ci sono molti ragazzi disposti a mettersi in gioco. Ecco, ripartiamo da qui. E’ arrivato il momento indifferibile di passare il testimone, prima che la stanchezza e la rassegnazione stenda e sigilli il velo dell’oblio. Si continua a morire d’amianto: non soltanto a Casale, ma in tutta Italia e in tutto il mondo. Non è una piaga del passato. Stiamo piangendo i morti di queste settimane e quanti se ne sono andati, in un silenzio spaventato e spaventoso, in questo anno blindato!
Il coinvolgimento dei giovani
Il coinvolgimento dei giovani deve ripartire da qualcosa di tangibile, che vada oltre le pur lodevoli ricerche, dossier, lavori multimediali. Per anni, al maxiprocesso di Torino hanno presenziato, con determinata costanza, decine di casalesi che si vestivano della bandiera «Eternit Giustizia» appoggiata sulle spalle. Passiamo quelle bandiere ai ragazzi: Afeva torni a riorganizzare quei pullman, almeno uno per ogni udienza e carico di studenti. Ci siano loro là, a turno, nell’aula universitaria di Novara che è stata individuata per accogliere il processo d’Assise, ci siano loro là a presidiare lo svolgimento della giustizia. Hanno la forza e l’entusiasmo, c’è bisogno di loro. Diciamoglielo, prepariamo il pullman e sono certa che ci saranno per continuare a pretendere quella giustizia che non si è ancora compiuta. Invitiamoli al processo, che ascoltino, udienza dopo udienza, prima che tutto lo sforzo vada perduto.