Il monitoraggio tramite ultrasuoni è una tecnica diagnostica già diffusa nel comparto medico-scientifico, ma poco utilizzata quando si parla di malattie a carico dell’apparato respiratorio. Proprio perché i polmoni sono pieni d’aria, i dati restituiti alle macchine non sono facili da interpretare. A leggere queste ecografie ci pensa il progetto ICLUS (Italian Covid-19 Lund Ultrasound Project), nato all’interno del laboratorio ULTRa (Ultrasound Lab Trento), con a capo il professor Libertario Demi, Assisstant Professor al Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione dell’Università di Trento (DISI). ICLUS è un progetto di rilievo internazionale, che vede coinvolti ospedali italiani ed esteri per fornire un protocollo automatico di diagnosi, anche attraverso una tecnologia di facile utilizzo che consiste in una sonda wireless per gli ultrasuoni, grande poco più di un telefono, collegata ad un dispositivo i-pad. L’obiettivo finale è quello di mettere tutto questo a disposizione dei medici in forma gratuita tramite un applicativo web per fornire anche un referto utile al clinico.
I risultati raggiunti fino ad ora sono di ottimo livello, e hanno visto rilievo in svariate pubblicazioni e riviste scientifiche. Non mancano le collaborazioni con importanti ospedali italiani, ma non solo, (Brescia Med, San Matteo Pavia, Gemelli Roma, Ospedale Maggiore di Lodi) che vedono la sperimentazione su 187 pazienti per un totale di oltre mezzo-milione di immagini ecografie analizzate. È in essere anche una collaborazione con L’Adet Accademia di Ecografia toracica e con l’ospedale di Rovereto.
Il futuro
“Si tratta ora di perfezionare la tecnologia nelle tecniche di ecografia polmonare» – spiega il professor Libertario Demi -. Allo stato attuale si può fare una valutazione del livello di gravità dell’alterazione polmonare, ma ancora identificarne chiaramente la causa. Con il finanziamento della Fondazione VRT abbiamo potuto acquistare sonde wireless da distribuirle sul territorio e accelerare la traslazione clinica delle ricerche. In più, è stato possibile sostenere i costi relativi alle risorse di cloud computing necessari per far girare gli algoritmi di valutazione del dato ultrasonografico, ogni qualvolta un medico ne richiedesse l’utilizzo per valutare i dati ottenuti da un paziente. L’auspicio, per il futuro, è di quello di creare una stretta collaborazione con i medici di modo anche eventualmente da creare delle figure di ponte tra il mondo clinico e quello della ricerca, pensando anche alle future collaborazioni che potranno innescarsi con la Scuola di Medicina dell’Università di Trento”.