L’ipertensione è una delle patologie che l’internista si trova più spesso ad affrontare. Una condizione tanto frequente (a soffrirne è un italiano su tre, mentre il 17% è borderline, cioè in ‘pre-ipertensione’), quanto sfidante per gli obiettivi terapeutici da raggiungere. Le nuove linee guida per l’ipertensione, appena rilasciate dalla Società europea di cardiologia e che fanno seguito a quelle della Società europea dell’ipertensione (pubblicate nel 2023) avranno un impatto sulla pratica clinica quotidiana degli internisti e dei pazienti italiani, anche perché allargano la platea delle persone (ipertesi e con ‘pressione elevata’ da attenzionare a 25-28 milioni di italiani. All’argomento è stata dedicata un’intera sessione del 125° congresso della Società italiana di medicina interna Simi. Ne abbiamo parlato con il professor Giovambattista Desideri, segretario della Simi e ordinario di medicina interna e geriatria alla Sapienza Università di Roma.

Ipertensione ha interesse storico

L’ipertensione è un campo di interesse storico degli internisti, oltre che una delle condizioni che quotidianamente i medici si trovano ad affrontare negli ambulatori e nei reparti di medicina interna. E non a caso, un’intera sessione del 125° congresso nazionale della Simi è stata dedicata proprio alle novità di diagnosi e terapia dell’ipertensione, anche alla luce delle nuove linee guida europee. A distanza di appena un anno dalle nuove linee guida della Società europea dell’ipertensione, a fine agosto 2024, sono arrivate anche le linee guida sull’ipertensione ‘firmate’ dalla Società europea di cardiologia; è l’epilogo di un ‘divorzio’ annunciato tra le due società scientifiche europee che, fino al 2018, avevano siglato congiuntamente le linee guida sull’ipertensione.

Le novità

“La principale novità delle linee guida sull’ipertensione della Società europea di cardiologia – sottolinea il professor Giovambattista Desideri – riguarda l’introduzione di una nuova categoria, quella delle persone a ‘pressione elevata’ che si collocano tra quelle francamente ‘ipertese’ e quelle ‘normotese’. La prima conseguenza per noi internisti riguarderà dunque il numero delle persone da ‘attenzionare’. In Italia vivono circa 18 milioni di ipertesi, molti dei quali non perfettamente controllati. Ma adottando la nuova classificazione della Società europea di cardiologia, le persone da attenzionare in quando ipertese o con ‘pressione elevata’ diventano molte di più, più o meno la metà dell’intera popolazione. Basti pensare che secondo i dati del ‘Progetto Cuore’ dell’Istituto superiore di sanità la pressione media della popolazione italiana nella fascia di età 35-74 anni è di 132/77 mmHg, valori inquadrabili per l’appunto come pressione elevata”.

Le nuove categorie in base alla pressione

Gli ‘ipertesi’, anche con le nuove linee guida, restano quelli con una pressione da 140/90 mmHg in su. “Su questo – spiega il professor Desideri – non ci sono grandi novità rispetto al pregresso. Al di sopra di questi valori scatta immediatamente l’indicazione al trattamento sia non farmacologico (attività fisica regolare, riduzione dell’apporto calorico, riduzione del sale, smettere di fumare, e così via), che farmacologico. Sotto i 120/70 mmHg si rientra nella categoria della pressione ‘normale’ e questi soggetti non vanno trattati. Ma, in una logica di prevenzione, ha senso tenerli sotto controllo, magari ogni 2-3 anni per valutare che non sviluppino nel tempo ipertensione”. Nelle ultime linee guida ESC viene introdotta – e questa è una delle principali novità – una categoria del tutto nuova, quella dei soggetti con ‘pressione elevata’ (il range è 120-139 mmHg per la massima e 70-89 mmHg per la minima).

Il ruolo degli internisti

“In realtà – spiega il professor Desideri – si tratta di una categoria di pressione che è sempre stata molto attenzionata dagli internisti, perché l’ipertensione non è mai un fenomeno ‘on-off’, un interruttore, ma un parametro biologico con una relazione lineare e continua con gli eventi cardiologici (il rischio di ictus e infarti in altre parole non scompare improvvisamente sotto i 140/90 mmHg di pressione). Le nuove linee guida ESC fanno dunque una distinzione in tre gruppi: quello certamente da trattare (gli ipertesi, sopra 140/90 mmHg); quello certamente da non trattare, ma da seguire nel tempo (i ‘normotesi’ sotto 120/70 mmHg); quello da attenzionare ed eventualmente da trattare, sulla base di quello che c’è ‘intorno’ a quel paziente (persone con ‘pressione elevata’). “Se i pazienti con pressione elevata – spiega il professor Desideri – presentano un profilo di rischio cardiovascolare aumentato (per presenza di diabete, dislipidemia, sovrappeso/obesità, insufficienza renale, pregresso infarto, e altro ancora, oppure desunto dalle carte del rischio cardiovascolare) allora c’è l’indicazione al trattamento, pur non rientrando nella categoria degli ipertesi.

Questione di parole

Nelle linee guida 2023 della Società europea dell’ipertensione non esiste la categoria ‘pressione elevata’, ma c’è quella di significato analogo detta di ‘pressione normale-alta’ o di ‘pre-ipertensione’ (130-139 mmHg per la sistolica e 85-89 per la diastolica), una categoria comunque da attenzionare ed eventualmente da trattare. “A cambiare dunque, con le linee guida ESC 2024 – riflette il professor Desideri – più che il concetto, è il ‘wording’, che diventa più sensibilizzante. Con la definizione di paziente con ‘pressione elevata’ viene alzato il livello di attenzione su questi soggetti ancora non ancora francamente ipertesi, ma da inquadrare con attenzione, considerando il loro rischio cardio-vascolare in maniera più strutturata, per decidere se iniziare comunque un trattamento antipertensivo”.

I target da raggiungere

Dalle linee guida ESC emerge un atteggiamento di trattamento più intensivo (o aggressivo) perché l’obiettivo da raggiungere con le terapie è fissato a 120-129 (ma più spostato verso il 120). “Naturalmente, nel caso del paziente anziano o del fragile, è prevista una maggiore cautela; in questo caso la nuova parola d’ordine dell’obiettivo terapeutico è ‘ALARA’ (‘As Low As Reasonably Achievable‘), cioè il valore quanto più basso, ragionevolmente raggiungibile in quella particolare persona, concetto che introduce una personalizzazione negli obiettivi pressori da raggiungere col trattamento in relazione alle specifiche caratteristiche del singolo individuo, secondo un approccio gestionale che da sempre è proprio dell’internista”.

Cosa cambia per l’internista italiano

“Gli internisti – ricorda il professor Desideri – conoscono molto bene i contenuti delle linee guida sull’ipertensione arteriosa, perché da sempre contribuiscono in modo sostanziale alla loro stesura. E d’altronde l’ipertensione è una patologia squisitamente internistica perché dietro i cosiddetti millimetri di mercurio (mmHg), c’è tutto un mondo di co-morbilità estremamente variegato, che l’internista gestisce quotidianamente. Spesso gli ipertesi hanno anche il diabete o la dislipidemia, hanno malattie cardiovascolari, renali, e altro ancora e l’internista è lo specialista che, per estrazione culturale, è abituato a valutarli a 360° secondo l’approccio ‘olistico’, globale, tipico della medicina interna. Non a caso le linee guida riportano un cartoon sulla ‘patient-centered care’, sulla cura incentrata sul paziente, che invita a valutare non solo i ‘millimetri di mercurio’, ma tutto quello che c’è intorno al paziente, ratificando di fatto quello che l’internista fa da sempre”.

Semplificare la terapia

Altro elemento molto ‘internistico’ è il problema dell’aderenza terapeutica. Questi pazienti spesso devono prendere più farmaci, sia per controllare la pressione arteriosa che per le comorbilità associate. “Sia le linee guida dell’ESC che quelle dell’ESH – ricorda il professor Desideri – raccomandano di utilizzare le associazioni pre-costituite, cioè una pillola che contiene due o tre principi attivi. Oggi c’è sempre più interesse anche rispetto alla cosiddetta poli-pillola, cioè a più farmaci di categorie diverse (ad esempio antipertensivi e contro il colesterolo), contenuti all’interno della stessa pillola. Anche in questo caso lo scopo è di semplificare la vita del paziente e migliorare l’aderenza terapeutica”. “La maggiore enfasi posta dalle nuove linee guida ESC sulle condizioni di pressione arteriosa borderline ovvero ‘pressione elevata’ – sottolinea il professor Giorgio Sesti, presidente della Simi – rientra nella visione che una efficace prevenzione primaria deve essere in grado di identificare e trattare i fattori di rischio cardio-metabolici il più precocemente possibile con un approccio globale (olistico). L’internista è pertanto la figura di specialista capace di prendersi cura di persone con molteplici fattori di rischio cardio-metabolici, di eseguire una corretta profilazione del rischio di eventi clinici, di valutare se vi sono segni iniziali di danno di organo e di trattare i diversi fattori di rischio valutando le interazioni dei farmaci e scegliendo le migliori strategie terapeutiche alla luce delle preferenze e delle attitudini delle persone”.

Dove vivono gli ipertesi d’Italia

A nord sono soprattutto gli uomini a fare i conti con la pressione alta, mentre al sud ne soffrono di più le donne. E molti (fino al 27%) sono ipertesi senza saperlo, di solito perché non misurano mai la pressione. Ma anche gli ipertesi ‘ufficiali’, quelli consapevoli e trattati farmacologicamente spesso non raggiungono i valori pressori ‘target’ della terapia. Anzi, gli ipertesi trattati in modo adeguato sono la minoranza: 1 su 4 al Nord, 1 su 3 al Centro (33%) e al Sud (29%); le donne sembrano andare un po’ meglio (quelle trattate in maniera adeguata sono il 36-40% a nord, il 40% al centro e il 37% al sud) (fonte: Italian Health Examination nell’ambito del ‘Progetto Cuore’ – Istituto Superiore di Sanità, 2023). La situazione dell’ipertensione in Italia insomma è tutt’altro che soddisfacente. Eppure, la posta in gioco è molto alta: la riduzione di 10 mmHg di pressione sistolica (o di 5 mmHg di diastolica) riduce il rischio di ictus del 40% e quello di infarto e patologie coronariche del 20-25%.