La ricerca sulle malattie rare è una strada molto lunga, lastricata di ostacoli. A volte però riserva delle svolte. Come è accaduto dieci anni fa con la scoperta della tecnologia di editing genetico e nel dicembre scorso con il primo farmaco sviluppato per curare in modo definitivo la beta-talassemia e l’anemia falciforme. Ma i costi restano onerosi e troppe le malattie rare ancora senza risposta. La ricerca da sola non basta, al tempo stesso l’industria non può prescindere dal contributo scientifico di studi e brevetti. Per questo l’Università di Trento, grazie all’input e al supporto di Hub Innovazione Trentino, due anni fa è entrata a far parte di Extend, il polo nazionale di trasferimento tecnologico dedicato al biopharma. Extend nasce su iniziativa di Cdp Venture Capital, in collaborazione con Evotec e Angelini Ventures, e ha lo scopo di individuare e sviluppare nuovi approcci terapeutici fornendo capitali, piattaforme tecnologiche avanzate e un network di esperti altamente qualificati. All’interno del polo nazionale di trasferimento tecnologico, Extend collabora con una rete di partner scientifici di eccellenza quali l’ospedale San Raffaele, l’Università di Milano, Human Technopole, l’Università di Firenze, l’Università di Modena e Reggio Emilia, l’Università di Roma La Sapienza, l’Università di Padova e H-Bio.

Primo investimento

L’Università di Trento ha ottenuto da Extend il primo investimento per lo sviluppo di una piattaforma innovativa dedicata al trattamento di una vasta famiglia di malattie rare. Questo progetto rappresenta un passo importante nell’ambito delle terapie avanzate, con l’obiettivo di fornire nuove soluzioni terapeutiche per condizioni patologiche che attualmente hanno poche o nessuna opzione di cura disponibile. La ricerca è condotta da Alessandro Quattrone, professore al Dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata (Cibio) dell’Università di Trento, con il suo gruppo di cui fanno parte Maria Corinna Diener, Samuele Sanniti e Alberto Raoss. “Negli ultimi cinque anni abbiamo lavorato per aggirare una delle principali limitazioni dell’editing genico: la necessità di sviluppare strategie terapeutiche su misura per le mutazioni specifiche di ogni malattia. Il nostro approccio innovativo sfrutta un principio universale per aumentare la fabbricazione cellulare di proteine, offrendo una potenziale soluzione per oltre 400 malattie rare causate appunto da insufficienza proteica. Insieme a giovani di talento del mio gruppo, siamo ora pronti a sfruttare tutto il potenziale di questa strategia. Il modello Extend fornisce la piattaforma perfetta per dare vita a questa visione”, dichiara Quattrone.


Il progetto Kozaks

Un acronimo di Kinetic Optimization of Zygosity by Altered Kozak Sequence (Ottimizzazione cinetica della zigosità mediante sequenza di Kozak alterata), ma anche un nome evocativo che riporta alla biochimica Marilyn Kozak, nota per aver scoperto oltre 40 anni fa proprio la sequenza genetica che regola una produzione efficiente di proteine. “Kozaks, in turco, significa inoltre “cosacchi”, l’antica popolazione delle steppe così chiamati perché liberi, non soggetti a obblighi. Con questo nome, quindi, il nostro progetto rimanda alla possibilità di sprigionare una capacità di espressione limitata dalla mutazione che causa queste malattie”, aggiunge Quattrone. Il progetto non è all’anno zero. “Siamo già usciti con un articolo scientifico, realizzato con l’essenziale contributo di una nostra brava dottoranda, ora altrove (Chiara Ambrosini) e abbiamo depositato un brevetto, ma questo finanziamento ci permette di passare dalla fase preclinica al progetto industriale. L’obiettivo finale è arrivare a una terapia di malattie rare causate da aploinsufficienza che sono tutte estremamente gravi, attualmente incurabili, e insorgono nell’infanzia. Per capire su quali di queste è più facile e più immediato agire, dobbiamo usare la piattaforma per comprendere quali modificazioni indurre con l’editing genetico per compensare le mutazioni. Tutte, come dicevamo, con lo stesso approccio, il che rende la cosa industrializzabile. Cominceremo dalla patologia più adatta, e quella dove è più facile al momento far arrivare la terapia”, conclude.