C’è anche il contributo scientifico dell’Università di Trento in un recente studio che potrebbe migliorare, in futuro, la precisione dell’evoluzione di eventuali pandemie. Un team internazionale di ricerca ha sviluppato un approccio innovativo alla modellazione epidemica per trasformare il modo in cui scienziati e scienziate prevedono la diffusione delle malattie infettive.
Del gruppo fa parte Michele Tizzoni, da due anni ricercatore al Dipartimento di sociologia e ricerca sociale. Ha una formazione scientifica in fisica. Prima lavorava alla Fondazione Isi di Torino, dove già si occupava di avvicinare i concetti di epidemiologia sociale a quelli dei sistemi computazionali. Di descrivere e cercare di capire il comportamento umano o modalità di interazione sociale con tecniche e metodi matematici e di calcolo. Il suo ruolo è stato quello di contribuire all’ideazione del progetto. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances.

Il progetto

Il lavoro è frutto di una collaborazione tra quattro istituti di ricerca: Queen Mary University of London, Central European University, Fondazione Isi di Torino e Università di Trento. L’equipe, coordinata da Nicola Perra (School of Mathematical Sciences, Queen Mary University of London), ha realizzato un nuovo modello epidemico che, accanto ai tradizionali fattori di cui si tiene conto nella propagazione dei contagi come possono essere l’età e il luogo di interazione, introduce anche variabili socioeconomiche quali il reddito, il grado di istruzione, l’etnia, l’occupazione. La convinzione di chi ha condotto il lavoro è che questi fattori svolgono un ruolo significativo nel modo in cui le persone interagiscono e rispondono alle misure di salute pubblica. Includendo queste variabili, secondo gli autori, si possono creare modelli più realistici che riflettono meglio i risultati delle epidemie nel mondo reale.

Il Covid

“Durante la pandemia da covid – spiega Michele Tizzoni – abbiamo scoperto che in diversi paesi nel mondo la capacità di aderire alle misure di lockdown è stata molto diversa a seconda del reddito delle persone. Chi era più benestante ha avuto la possibilità di aderire alle misure restrittive più facilmente, perché poteva permetterselo. C’erano invece altre persone con un livello di reddito più basso che non potevano permettersi di restare a casa e non lavorare. Ci sono state disuguaglianze enormi”.


L’idea è di rendere l’epidemiologia computazionale più egualitaria e rispettosa delle differenze socioeconomiche che influiscono sull’espansione dell’infezione. I modelli elaborati sono stati testati su dati reali riferiti alla diffusione della pandemia da Covid 19 in Ungheria. Le informazioni sono state raccolte attraverso dei sondaggi che indagavano non solo l’età dei partecipanti, ma anche il loro stato socio-economico. I risultati mostrano come l’inclusione di indicatori socioeconomici fornisca stime più accurate dell’andamento della malattia e riveli disparità cruciali tra diversi gruppi sociali.

I risultati

I ricercatori hanno dimostrato come il loro “framework” potrebbe quantificare le variazioni nell’aderenza agli interventi di protezione non farmaceutici, come il distanziamento sociale e l’uso della mascherina nei diversi gruppi sociali. E hanno scoperto che trascurare questi fattori nei modelli non solo altera la diffusione delle malattie, ma oscura anche l’efficacia delle misure di sanità pubblica. L’impatto che questo studio potrebbe avere in futuro è chiaro. “Potremmo definire quali sono i gruppi sociali più a rischio e identificare politiche sanitarie di intervento e di prevenzione mirate”, così Tizzoni.