Sono oltre sei milioni le persone in Italia interessate direttamente o meno dalle demenze. Si stima che siano circa 1,1-1,2 milioni di persone, a cui si devono aggiungere circa quattro milioni di familiari e badanti coinvolti e circa 900mila persone con deficit cognitivo lieve (Mild Cognitive Impairment – MCI). Non esistono cure, ma è possibile una prevenzione che eviti o ritardi la comparsa dei sintomi nel 40% dei casi. Le strategie vanno da un corretto stile di vita, base dell’invecchiamento in salute, alla stimolazione cognitiva e alla socializzazione, fino ad una gestione geriatrica che abbia una visione complessiva della persona. Questo è stato uno dei temi al centro del 38° congresso nazionale della Società italiana geriatria ospedale e territorio.
Il vademecum per la prevenzione delle demenze
La prevenzione dell’Alzheimer e delle demenze in generale è possibile intervenendo sui fattori di rischio nel corso di tutta la vita. La prevenzione include la possibilità di stimolazione cognitiva (per esempio strategie di allenamento della memoria), socializzazione, attività fisica e dieta adeguata secondo i principi dell’invecchiamento attivo o healthy aging, e quanto dimostrato dalla ricerca scientifica (si pensi ad esempio ai risultati del Finger Study basato su alimentazione, esercizio fisico, stimolazione cognitiva, controllo dei fattori di rischio vascolari e metabolici). “Il declino cognitivo è evitabile, ma dipende dal patrimonio genetico, dall’ambiente in cui viviamo e dallo stile di vita, ossia i comportamenti durante tutto il corso dell’esistenza, a partire dall’attività fisica e dalla dieta – spiega Luca Cipriani, direttore Uo geriatria Asl Roma 1 e vice presidente Sigot –. La letteratura scientifica sull’Alzheimer identifica dodici fattori di rischio modificabili: istruzione inadeguata, ipertensione, deficit uditivo, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, diabete, scarso contatto sociale, lesioni cerebrali traumatiche, abuso di alcol, inquinamento atmosferico. Il rischio potenzialmente modificabile è del 40%. Le azioni specifiche che si possono prendere includono il mantenimento della pressione sanguigna sistolica al di sotto di 130 mm Hg nella mezza età, la promozione dell’uso di apparecchi acustici, la riduzione dell’esposizione all’inquinamento atmosferico e al fumo passivo, la prevenzione delle lesioni cerebrali, la limitazione del consumo di alcol, lo scoraggiamento del fumo, un buon livello di istruzione, il contrasto all’obesità e al diabete, una buona qualità del sonno. Occorre inoltre attribuire un ruolo centrale alla geriatria, affinché possa prendere in carica la persona anziana che è a maggior rischio di sviluppo di demenza”.
Dal 2014 manca il piano nazionale demenze
Più del 40% degli ultra 75enni vive da solo ed è a rischio di solitudine; inoltre, essendo aumentata la vita media, la probabilità di incorrere nel decadimento cognitivo e nella demenza è molto alta rispetto al passato. I dati più recenti emergono dal report dell’Istituto superiore di sanità pubblicato a inizio 2024, che stima anche il costo annuo della demenza in 23 miliardi di euro, il 63% dei quali a carico delle famiglie. “La prevalenza dell’Alzheimer e delle demenze in generale è in aumento, in quanto si tratta di un tema legato all’invecchiamento, fenomeno che interessa da vicino il nostro Paese – sottolinea Andrea Fabbo, direttore della Uo di geriatria della Ausl di Modena e vice presidente Sigot. – La demenza è una sindrome ad alto impatto, che aumenterà nei prossimi anni., creando ulteriori difficoltà e stress nelle famiglie, viste le complicanze legate ai disturbi del comportamento (agitazione, problemi del sonno). Si deve pertanto potenziare l’assistenza sia a domicilio che nelle strutture, visto che il 70% delle 350mila persone ricoverate nelle Rsa ha una qualche forma di demenza; al tempo stesso si deve creare una rete che permetta alle persone con demenza e ai loro caregiver di poter essere gestiti nella comunità. Il Fondo nazionale Alzheimer di 35 milioni di euro permetterà alle regioni di proseguire i progetti iniziati nell’organizzazione della rete dei centri per i disturbi cognitivi e le demenze; l’obiettivo a cui stiamo lavorando al tavolo tecnico coordinato dal ministero della Salute è un nuovo Piano nazionale, visto che il precedente risale al 2014 e non si occupa della residenzialità. Questo ambizioso obiettivo potrà essere raggiunto se inserito nell’agenda politica del Paese”.
Il modello Modena
Un esempio virtuoso nella prevenzione e nella gestione dei disturbi cognitivi è quello di Modena dove è ben strutturata una rete di servizi (dall’ospedale al territorio) che si occupa non solo della diagnosi, cura ed assistenza delle persone con demenza e del suo caregiver, ma anche degli anziani “a rischio”, per esempio attraverso progetti di comunità come “le Palestre della memoria”, luoghi di aggregazione dove le persone esercitano le proprie funzioni cognitive in compagnia. “L’approccio alla patologia non risiede solo nella capacità di cura di un farmaco, ma nel ricorso a diverse azioni che possono risolvere specifici aspetti dell’Alzheimer – spiega Andrea Fabbo che ne è responsabile –. Oggi abbiamo la possibilità di erogare trattamenti di tipo non farmacologico (i cosiddetti ‘interventi psicosociali’), che possono rallentare il decorso della demenza e che eroghiamo nella nostra rete di cura. Offriamo poi supporto ai familiari con interventi sia a domicilio che nelle residenze, interventi educativi e terapia occupazionale, di affiancamento, tutoring, sostegno socio-relazionale al caregiver, percorsi di sostegno psicologico individuale o di gruppo e interventi di supporto psico-educativo, iniziative di formazione”.