Gli screening per le malattie infettive, con particolare attenzione ai test per Hiv ed epatiti, sono stati oggetto dell’approfondimento dell’incontro scientifico-istituzionale Lo screening nelle malattie infettive come intervento di sanità pubblica che si è tenuto al ministero della salute, terzo appuntamento del progetto “La Sanità che vorrei…”, promosso dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali, in collaborazione con altre società scientifiche, Istituto superiore di sanità, associazioni di pazienti, rappresentanze della società civile, imprese, decisori politici e istituzioni.
Diagnosi precoci
Le diagnosi precoci sono uno strumento essenziale di prevenzione: permettono sia di intervenire in tempo nel trattamento del paziente, sia di evitare la diffusione di virus e batteri. Esistono infatti importanti strumenti per intervenire nella prevenzione e nel trattamento di queste infezioni, che sono applicabili solo con efficaci programmi di screening e linkage-to-care che devono essere necessariamente rilanciati. “L’emergenza Covid in questi anni ha interrotto gran parte delle attività di screening per le malattie effettive avviate prima del 2020 – ha sottolineato il professor Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit –. Per l’Hiv ha determinato un ritardo diagnostico per cui molti pazienti sono ricoverati in una fase avanzata dell’infezione. Per quanto riguarda l’Epatite C, si è ridotta l’attività di screening e quindi i successivi trattamenti di eradicazione del virus, rallentando il cammino dell’Italia verso l’eliminazione dell’Hcv entro 2030 come prospettato dall’Oms. È diventato pertanto indispensabile avviare una ripresa delle attività di screening in tempi rapidi”. “Gli screening nelle malattie hanno l’obiettivo di identificare in soggetti sani le infezioni latenti che possono riattivarsi – ha evidenziato il professor Claudio Mastroianni, presidente Simit –. I pazienti fragili, come immunodepressi o oncoematologici, ad esempio, devono verificare il rischio di infezioni latenti come tubercolosi o Epatite B, che potrebbero riattivarsi in situazioni di immunodepressione. Lo screening diventa fondamentale come strumento di sanità pubblica nella ricerca di Hiv, infezioni sessualmente trasmesse, epatiti. In queste infezioni i rischi di contagio sono elevati, ma soprattutto esistono strumenti adeguati per fare prevenzione ed eseguire trattamenti”.
Il ruolo degli screening
Test e diagnosi precoci permettono anche di favorire un risparmio del Ssn. Come ha rilevato il senatore Daniele Manca nell’incontro al ministero, serve un’appropriatezza e una sostenibilità della spesa pubblica sanitaria, che sia basata su dei parametri che quantifichino il risparmio. Per intervenire sul territorio serve poi una struttura che sia in grado di provvedere alla presa in carico del paziente, valorizzando anche il ruolo dei distretti. Questi risultati si possono conseguire solo con delle riforme sviluppate in un’adeguata cornice normativa, in cui si superi la lotta agli sprechi e la disparità territoriale.
I nuovi dati Hiv
Alla vigilia del 1 dicembre, Giornata mondiale contro l’Aods, è stato possibile commentare i dati Hiv del 2022 recentemente pubblicati dal ministero della salute. Le nuove diagnosi sono state 1.888, con la conferma dell’incidenza in calo dal 2012, nonostante un leggero aumento negli ultimi due anni post-Covid. L’incidenza più elevata di nuove diagnosi Hiv si riscontra nella fascia di età 30-39 anni, mentre fino al 2019 si riscontrava nella fascia di età 25-29 anni; prosegue il trend in corso dal 2016 per cui si riduce il numero di nuove diagnosi tra gli stranieri. A preoccupare resta il dato dei due terzi di diagnosi tardive, talvolta già in Aids, a cui si può aggiungere un sommerso stimato in 140mila pazienti inconsapevoli dell’infezione. Un dato su cui si deve intervenire, visto che con le nuove terapie antiretrovirali, se regolarmente assunte, il virus diventa non più rilevabile nel sangue e non trasmissibile, come sintetizzato anche nell’evidenza scientifica U=U, Undetectable=Untransmittable, da cui deriva il concetto di treatment as prevention. “I punti su cui occorre intervenire sono un più facile accesso ai test e la lotta allo stigma – ha sottolineato Cristina Mussini, consigliere Simit e professore ordinario di malattie infettive, Università di Modena e Reggio Emilia -. I test sono già oggi gratuiti, anonimi e veloci, ma deve essere facilitato l’accesso, coinvolgendo anche i luoghi del territorio come i Pronto Soccorso e i medici di famiglia, che possono indagare maggiormente lo stile di vita dei propri pazienti e capire eventuali comportamenti a rischio. L’anamnesi sessuale degli individui, infatti, non deve essere un tabù, ma deve rientrare nell’ambito della conoscenza del paziente; parallelamente, servono campagne che combattano lo stigma”.
La lotta all’Epatite C
Gli screening sono fondamentali anche nella lotta alle epatiti. Per l’Epatite C, i nuovi farmaci ad azione antivirale diretta permettono di eradicare il virus in maniera definitiva, in poche settimane e senza effetti collaterali; i fondi stanziati dal governo nel 2020 proprio in questi mesi sono stati impiegati da diverse regioni, ma la comunità scientifica auspica ulteriori passi avanti al fine di far emergere il sommerso. Anzitutto, le regioni che ancora non sono partite devono avviare programmi di screening: è il caso di Sicilia, Calabria, Puglia, Sardegna, Molise, Abruzzo, Marche. In secondo luogo, è necessaria una proroga per l’uso dei fondi almeno fino al 31 dicembre 2024, per favorire l’applicazione di questi progetti. Infine, serve un’estensione alle coorti d’età più anziane, in cui si possono annidare ancora alcuni serbatoi di sommerso. Dai risultati dello screening gratuito dell’Epatite C del primo semestre dell’anno 2023 in cui sono stati testate oltre 860mila persone nella popolazione generale, sono state rilevate oltre 1300 infezioni attive da Hcv; gli screening sulle popolazioni speciali (tossicodipendenti, detenuti) invece hanno rilevato circa 8mila e 700 positività su oltre 100mila test.
Gli screening per Epatiti B e Delta
Per l’Epatite B il vaccino, obbligatorio in Italia dal 1991, ha ridotto drasticamente la presenza nell’infezione negli under 40, ma resta presente in altre coorti d’età e nei nati fuori dall’Italia. Per l’Epatite Delta, particolarmente aggressiva, da alcuni mesi può essere impiegato con successo un nuovo farmaco, la bulevirtide, che permetterà di migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti, permettendo di trattare pazienti che prima non potevano ricevere alcuna terapia.