Il microbioma è un grande alleato della salute. Varie ricerche hanno dimostrato che svolge funzioni fondamentali, come garantire le difese immunitarie e le capacità digestive. Sono ancora scarse, però, le conoscenze su come avvenga l’acquisizione e trasmissione dei batteri e degli altri microbi che compongono il microbioma. A dipanare la questione ha provato il gruppo di ricerca di Nicola Segata (professore del dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata Cibio dell’Università di Trento e dell’Istituto europeo di oncologia), che ha coordinato uno studio internazionale sulle vie di accesso al corpo umano dei batteri della salute. Diciotto le istituzioni e i centri di ricerca coinvolti a livello mondiale. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature. La prima firmataria è Mireia Valles-Colomer, ricercatrice post-doc del SegataLab di UniTrento.
Si tratta dello studio più imponente compiuto finora sulla trasmissione del microbioma. Autrici e autori, infatti, hanno analizzato più di 9mila campioni di feci e di saliva da persone in 20 paesi di tutti i continenti che sono state incluse nel progetto che aveva lo scopo di individuare come i batteri nei microbiomi si trasmettono tra generazioni (trasmissione verticale) e tra persone che vivono a stretto contatto, come partner, figli, o amici (trasmissione orizzontale).
Lo studio
La ricerca ha confermato e definito in modo più accurato che la prima trasmissione del microbioma intestinale avviene alla nascita ed è duraturo, tanto che il bagaglio di batteri del microbioma sano ereditati dalla mamma è riconoscibile anche fino agli 80 anni di età. Dall’analisi emerge, poi, che nella popolazione adulta un altro canale di trasmissione dei microbi sono le persone con cui si hanno relazioni strette, come in casa tra partner, figli e figlie o nei rapporti di amicizia. Il gruppo ha poi scoperto che il microbioma orale si trasmette in modo nettamente diverso dal microbioma intestinale. I batteri presenti nella saliva si trasmettono infatti ancora più frequentemente, soprattutto in modo orizzontale: lì la trasmissione da parte della madre è minima. Al contrario, quanto più tempo le persone passano insieme, più batteri esse condividono.
Tracciata la trasmissione di 800 specie di batteri
Mireia Valles-Colomer, che ha tracciato la trasmissione di oltre 800 specie di batteri, racconta: “Abbiamo trovato prove di un’ampia condivisione del microbioma intestinale e orale collegata al tipo di relazione e allo stile di vita. I risultati suggeriscono che le interazioni sociali modellino effettivamente la composizione dei nostri microbiomi. Abbiamo anche scoperto che certi batteri, soprattutto quelli che sopravvivono meglio al di fuori dei nostri corpi, sono trasmessi molto più spesso degli altri. Tra questi ci sono alcuni microbi di cui sappiamo molto poco, tanto che non hanno ancora un nome. Ciò ci spinge a studiarli meglio perché abbiamo ancora molte domande senza risposta sui meccanismi di trasmissione del microbioma da persona a persona e su come questo influisce sulla nostra salute”.
Le fonti dei microbiomi
Nicola Segata spiega: “Nell’età adulta, le fonti dei nostri microbiomi sono soprattutto le persone con le quali viviamo a stretto contatto. La durata di interazioni come per esempio la convivenza di studenti o partners, sono, a grandi linee, proporzionali con la quantità di batteri scambiati. In molti casi, però, i batteri possono trasmettersi tra individui che hanno interazioni superficiali e occasionali”. Continua: “La trasmissione del microbioma ha implicazioni importanti per la nostra salute poiché alcune patologie non trasmissibili (come le malattie cardiovascolari, il diabete o il cancro) sono riconducibili in parte a una composizione alterata del microbioma. Avere dimostrato che il microbioma umano è altamente trasmissibile potrebbe portare a considerare alcune di queste malattie (normalmente considerate non trasmissibili) come – almeno in una piccola parte – malattie trasmissibili. Approfondire le conoscenze sulla trasmissione del microbioma può quindi far progredire la comprensione dei fattori di rischio di queste malattie e aprire, in prospettiva, la possibilità di ridurne tale rischio con terapie che agiscano sul microbioma o sulle sue componenti trasmissibili”.