“Mantenersi in movimento” è uno dei principali mezzi per assicurarsi una vita lunga e in salute. Chi pratica con regolarità un’attività fisica di intensità moderata per 2,5/5 ore a settimana o vigorosa per 1.15/2.5 ore a settimana o un equivalente combinazione di entrambe, ottiene una riduzione della mortalità cardiovascolare e della mortalità per tutte le cause dell’ordine del 20-30% rispetto ai soggetti che conducono una vita più sedentaria.

Il movimento

“Il movimento – ha spiegato il professor Lorenzo Palleschi – non solo previene la maggior parte delle malattie cardiovascolari e cronico-degenerative (anche la demenza di Alzheimer, definita per la sua altissima prevalenza la vera epidemia del terzo millennio), ma permette una miglior conservazione dell’efficienza fisica, garantendo così di vivere a lungo in forma e in piena autonomia. Il declino della massa, forza muscolare e capacità motorie che è stato a lungo considerato un corollario ineluttabile dell’invecchiamento, non si osserva, o è molto meno evidente in chi continua a praticare esercizio fisico anche in età matura-anziana: gli anziani over 80 che praticano esercizi di resistenza hanno performance motorie equivalenti alla classe di età 50-54 anni. I benefici della pratica dell’attività fisica – ha aggiunto il direttore scientifico del congresso di cardiogeriatria, insieme al professor Francesco Vetta – non si esauriscono neanche se consideriamo le persone più anziane e fragili. Un recente studio pubblicato quest’anno sulla prestigiosa rivista British Medical Journal ha dimostrato che un programma di esercizi condotto su una popolazione di persone anziane fragili (con riduzione della massa muscolare – definita sarcopenia) è in grado di ridurre l’incidenza di disabilità motoria, nello specifico di percorrere a piedi 400 metri in autonomia”.“Mantenersi in movimento è fondamentale, nelle persone anziane, anche in occasione di ricoveri in ospedale o in strutture sanitarie. La scarsa mobilità durante il ricovero ospedaliero– ha sottolineato Palleschi – comporta il rischio di declino funzionale (perdita dell’autonomia personale), maggior sviluppo di complicanze determinando un risultato complessivo del ricovero negativo. L’ipomobilità durante il ricovero può aumentare il rischio di morte di 30 volte rispetto ai soggetti ad alta mobilità”.

Scarsa mobilità durante i ricoveri

“Data la pervasività di questo problema, la scarsa mobilità durante il ricovero in ospedale è stata definita per la prima volta “pericolosa” nel 1947, e successivamente descritta come un’epidemia. Gli ospedali hanno compiuto notevoli progressi nell’ultimo mezzo secolo e negli ultimi due decenni in particolare. Tuttavia, la pandemia Covid-19 presenta nuove e gravi sfide che minacciano di compromettere i recenti sforzi e i progressi verso una cultura della mobilità. Le rigide misure di distanziamento sociale all’interno delle strutture sanitarie, le carenze del personale dovuto a riallocazione ad aree ad alto fabbisogno come il pronto soccorso o le terapie intensive, la carenza di dispositivi di protezione, e la ritrosia dei pazienti nei confronti della mobilità – favorita già prima del ricovero dal timore dell’interazione sociale e durante la degenza dal timore dell’interazione con gli operatori – stanno minacciando la promozione della mobilità all’interno delle strutture sanitarie (ospedali ed RSA) così determinante per il benessere dei pazienti anziani”, ha concluso.