Con i nuovi trattamenti antiretrovirali la donna con Hiv può portare a termine una gravidanza senza timore di trasmettere il virus al bambino: la trasmissione del virus dalla madre al feto, se la terapia è assunta correttamente, risulta drasticamente abbattuta. Resta aperto il dibattito sull’allattamento, che può essere considerato in caso di richiesta da parte della donna, o, come succede in alcuni paesi a risorse limitate, per esigenze di sanità e culturali. Altro argomento di attivo dibattito resta la somministrazione di una profilassi antivirale al bambino nato a termine da madre con controllo virologico ottimale, già eliminata in Svizzera e oggetto di analisi in Europa. Questi temi, con l’obiettivo di favorire un’interpretazione aggiornata delle linee guida internazionali, sono stati al centro della 16° edizione di ICAR – Italian Conference on AIDS and Antiviral Research.
Hiv e gravidanza
Le conquiste scientifiche degli ultimi anni hanno reso l’Hiv un’infezione cronica. La corretta assunzione della terapia antiretrovirale, infatti, è in grado di azzerare la viremia fino a rendere il virus non trasmissibile nel rapporto sessuale: ciò permette dunque di azzerare il rischio di trasmissione del virus nella coppia sierodiscordante. Questo progresso ha i suoi effetti anche sulla trasmissione materno-fetale: la gravidanza di una donna con Hiv è un percorso possibile e sicuro, con un rischio di trasmissione del virus ormai prossimo allo zero, in caso di corretta gestione della terapia e di applicazione di tutte le indicazioni per le donne in gravidanza. “Prima della terapia antiretrovirale il rischio di trasmissione dell’Hiv dalla madre al feto era del 25%, mentre ad oggi, in chi assume regolarmente la terapia e ha la carica virale soppressa, siamo quasi allo zero – sottolinea la professoressa Cristina Mussini, vice presidente Simit –. La terapia è efficace, ben tollerata dalla donna, non dannosa per il feto e può accompagnare la paziente in tutti i cambiamenti fisiologici che avvengono durante la gravidanza. Non è più necessario che una donna con Hiv ricorra necessariamente all’inseminazione artificiale; diventa possibile anche un parto per via naturale. Resta ancora aperto il dibattito attorno all’ allattamento al seno, anche perché mancano dati certi. In ogni caso, il risultato raggiunto rappresenta un cambiamento epocale e un’ulteriore normalizzazione dell’infezione da Hiv”.
“La terapia antiretrovirale abbatte il rischio che la donna in gravidanza trasmetta Hiv al bambino – spiega Lucia Taramasso, infettivologa presso IRCCS Policlinico San Martino, Genova –. Il rischio di trasmissione nella coppia madre-bambino è prossimo allo zero: la gravidanza di una donna con Hiv si può definire sicura. Condizione imprescindibile è naturalmente che la madre segua con regolarità la terapia. Il continuo aggiornamento dei registri osservazionali ed i dati derivati dai trials clinici ci hanno permesso un ulteriore passo avanti, consentendo di dimostrare che la maggior parte dei moderni farmaci antiretrovirali oggi disponibili, caratterizzati da alta efficacia e tollerabilità, sono sicuri anche in gravidanza. La donna con Hiv non deve avere timore di intraprendere una gravidanza, che può invece vivere serenamente e con entusiasmo, come tutte le donne”.
Il dibattito sull’allattamento
I punti su cui il dibattito resta aperto sono l’allattamento al seno e la somministrazione della profilassi antiretrovirale al bambino. “Le attuali linee guida internazionali ci dicono che l’utilizzo del latte artificiale elimina il rischio di trasmissione postnatale dell’HIV al neonato. In caso di allattamento al seno, il raggiungimento ed il mantenimento della soppressione virologica durante la gravidanza e il post-partum riducono il rischio di trasmissione a meno dell’1%, ma non a zero – evidenzia Lucia Taramasso –. La difficoltà nella gestione dell’allattamento materno dipende dalla mancanza di dati sicuri in una fase di vita così delicata. I dati disponibili ad oggi riportano sporadici casi di trasmissione del virus dalla madre al bambino anche in caso di carica virale soppressa ed adeguatamente controllata dalla terapia, il rischio è tuttavia stimato al di sotto dell’1% in queste situazioni”.
“L’altro tema analizzato a ICAR 2024 è la somministrazione di una profilassi antivirale al neonato – aggiunge Taramasso – Le Linee Guida europee e americane consigliano di somministrare un farmaco antiretrovirale al neonato per aumentare la protezione nei confronti dell’acquisizione dell’Hiv, anche nel bambino nato a termine da madre con viremia stabilmente undetectable e che non riceve l’allattamento materno. Tuttavia, non mancano modelli, come quello svizzero, che hanno eliminato questa raccomandazione nei casi in cui il rischio di trasmissione sia considerato basso e la madre sia stata aderente alla terapia per tutta la gravidanza”.