La Baraggia Vercellese è un territorio di praterie e brughiere con erbe alte, le molinie e arbusti di brugo, simili all’erica. Vi nidificano numerosi uccelli che si avvantaggiano di questo peculiare e ormai raro ambiente di pianura, come area di rifugio per il riposo diurno e notturno: ne sono state censite ben 167 specie tra cui alcune ormai rare come la colombella, la tottavilla, la cicogna bianca, il lodolaio e il gruccione. Il corso d’acqua più importante di questa zona è il Canale Cavour  (dal nome del suo promotore, Camillo Benso di Cavour), un canale artificiale lungo circa 83 km., costruito per irrigare le risaie, che trae origine dal Po a Chivasso e termina scaricandosi nel Ticino a Galliate. Sul confine tra Greggio e San Nazzaro Sesia il canal Cavour attraverso un sifone, passa sotto al Sesia. Qui le acque del canale irriguo scendono sottoterra, scorrono per circa 256 metri sotto il letto del fiume e risalgono dalla sponda opposta poco distante dalla strada Provinciale per Brusnengo (via Rovasenda)  in direzione di Roasio, che porta all’Azienda RSN (Riso Secondo Natura) di Mario Valsesia.

L’acqua utilizzata per sommergere le risaie di questa azienda non arriva però dal canale Cavour, come per tutte le altre aziende della zona, ma dall’invaso del Monte Rosa attraverso una canalizzazione che termina proprio a Rovasenda. Mario Valsesia deve aspettare ogni primavera lo scioglimento del ghiacciaio per avere l’acqua che gli serve, perché i suoi terreni sono in una posizione elevata rispetto al livello del Canale Cavour e notoriamente l’acqua non va in salita, ma il vantaggio è di avere un’acqua pura non contaminata da sostanze tossiche presenti in quantità elevate nel grande canale irriguo.

Filiera naturale

Qui tutto è concepito in funzione del particolare tipo di produzione, attraverso una filiera completamente naturale: dai trattori a rotolama, ai macchinari per la raccolta a strappo della granella di risone, fino agli essiccatoi a pannelli solari. Circa venti anni fa, Mario Valsesia osservò, nella prateria dell’Alto Vercellese, il ciclo vegetativo di un’erba spontanea: la Molina coerulea. Nella sua mente creativa s’illuminò un concetto molto semplice ma geniale, che poteva essere applicato anche alla coltivazione del riso: lasciare lavorare la natura, per produrre in sinergia con l’ambiente. Con tenacia e caparbietà è riuscito, in anni d’impegnativo lavoro, a mettere a punto una tecnica di lavorazione utilizzando macchine appositamente create che, oggi, consente, con un impiego misurato di prodotti di sintesi, di far vivere in equilibrio sostenibile, produttività e salvaguardia della biodiversità tipica dell’ambiente di risaia.

Processo produttivo

Il processo produttivo parte dalla preparazione della lettiera e della semina: le paglie del riso sono lasciate sul terreno durante tutto l’autunno-inverno e vengono abbattute in primavera col rotolama (un trattore che spinge un grande cilindro rotante con lame d’acciaio), per la formazione della lettiera. Le erbe infestanti sono poi interrate con un secondo passaggio del rotolama, che precede la semina. In questo modo il lavoro dei microrganismi trasforma le paglie ed i residui colturali in humus e sostanze minerali. La raccolta viene fatta a strappo: con una piccola macchina ideata all’uopo, viene “strappata” la sola granella di risone lasciando tutta la restante parte della pianta eretta sul terreno. Così il risparmio di tempo ed energia meccanica è considerevole, le emissioni inquinanti, ridotte e le paglie di risulta favoriscono la protezione del terreno dal dilavamento e dall’erosione. L’essicazione, infine, sfrutta l’energia solare: con l’impianto solare (vetri e pannelli solari) di drainizzazione, la granella di risone viene essiccata con l’aria scaldata dal sole, che riduce l’umidità a bassa temperatura.