I dati recentemente pubblicati dall’annuario Istat 2024 certificano una realtà ormai consolidata: l’Italia è uno dei Paesi più anziani del mondo – il secondo dopo il Giappone – con ulteriori prospettive di invecchiamento. Questo dato richiede un impegno affinché gli anni di vita guadagnati siano vissuti in buone condizioni di salute: è questo il messaggio che ha lanciato anche la Sigot – Società italiana geriatria ospedale e territorio, durante il 38esimo congresso nazionale.
In Italia oltre 14 milioni di over 65
Come rilevano i dati Istat, tra il 2004 e il 2024, l’età media della popolazione è aumentata da 42,3 a 46,6 anni. I residenti di 65 anni e più sono incrementati di oltre 3 milioni, e oggi sono 14 milioni 358 mila (+5,1 punti percentuali rispetto al 2004). Di questi, oltre la metà ha almeno 75 anni: 7 milioni 439 mila. Il calo della mortalità (661 mila decessi in meno) si traduce in una speranza di vita alla nascita di 83,1 anni. L’invecchiamento della popolazione si accentuerà ulteriormente nei prossimi due decenni: nel 2050, si prevede che le persone over 65 anni saranno tre volte più numerose dei giovani con meno di 15 anni. “Il mondo sta invecchiando – commenta il professor Lorenzo Palleschi, presidente Sigot –. Gli ultra80enni sono la classe a più rapida espansione: dal 2001 al 2020, nei Paesi europei sono passati dal 3,4% a quasi il 6%. Con l’avanzare dell’età aumenta il numero di persone che non è più in grado di soddisfare autonomamente alcuni dei bisogni primari. L’ultimo report dell’Oms, eseguito su 37 Paesi, ha stimato come parzialmente disabili il 14% degli over 60, pari a 71 milioni di persone. Il declino funzionale non è però un percorso ineluttabile per tutti, ma dipende da tre fattori: il patrimonio genetico, l’ambiente in cui viviamo e lo stile di vita, che riguarda i comportamenti durante tutto il corso dell’esistenza, anche in età matura e anziana. A tale proposito, l’attività fisica è fondamentale per il mantenimento e il benessere dell’organismo, mentre il disuso è il veicolo di malattie e invecchiamento precoce. L’altra variabile che condiziona un corretto stile di vita e l’invecchiamento in salute è la dieta. Intervenendo su questi fattori si può ritardare la comparsa delle patologie o i loro effetti più gravi di oltre 30 anni”.
La prevenzione
Dal 2016, i Paesi dell’Oms hanno condiviso l’obiettivo dell’invecchiamento in salute, il cosiddetto healthy aging. Ciò non implica una totale assenza di patologie, che sono in parte inevitabili in età anziana, ma si mira a rendere gli effetti di queste ultime marginali, permettendo una buona qualità di vita e un grado sufficiente di autonomia, mediante la prevenzione, quindi nutrizione e attività ed esercizio fisico. Tra le patologie che possono provocare maggiore disabilità e mortalità vi sono la sarcopenia e le malattie cardiovascolari. “La sarcopenia si caratterizza per la progressiva e generalizzata perdita di massa, forza muscolare e performance, che porta ad aumentato rischio di disabilità fisica, cadute, fratture, scarsa qualità di vita, complicanze e mortalità – evidenzia il professor Palleschi -. Secondo l’Oms, la sarcopenia è una delle maggiori cause di perdita di indipendenza e un grande fattore di rischio per sviluppare altre malattie in età più avanzata. Come rilevano diversi studi, la sarcopenia è frequente nella popolazione anziana e modifica l’impatto a seconda del contesto in cui si trova il soggetto: in comunità colpisce il 5-10%, in strutture di lungodegenza il 15-30%, in ospedale il 20-25%. Ha un notevole impatto sulla qualità di vita: è stato osservato un tasso più elevato di mortalità tra i soggetti sarcopenici rispetto ai non sarcopenici con un odds ratio (OR) combinato di 3.596. Inoltre, i soggetti sarcopenici hanno un rischio significativamente più alto di esperire un declino funzionale. Per far fronte a una diagnosi di sarcopenia e migliorare la qualità di vita si può intervenire proprio sui comportamenti: come rileva la letteratura, anche una semplice camminata di circa 25 minuti al giorno è sufficiente per migliorare la condizione durante un ricovero ospedaliero acuto”.
Esercizio fisico
“L’esercizio fisico rappresenta uno strumento utile anche per mantenere il ritmo cardiaco nella norma – sottolinea il professor Francesco Vetta –. È un dato assai rilevante, in quanto l’invecchiamento della popolazione si riflette anche su un incremento della prevalenza e dell’incidenza delle malattie cardiovascolari: la Fibrillazione Atriale, ad esempio, nella popolazione generale negli ultimi vent’anni è raddoppiata, passando da poco meno dell’1% a poco meno del 2%, e tenderà ad aumentare di altre due volte entro il 2050. Già oggi nella popolazione con più di 75 anni è superiore al 10%. Parallelamente, nell’anziano vi è un rischio di morte improvvisa per aritmie ventricolari, che aumenta fino a 80 anni, prima di raggiungere un plateau. A determinare la stretta relazione tra aritmie e decessi concorrono anche altre comorbidità come la sarcopenia, che modifica le fibre muscolari, riducendo la qualità del metabolismo. Da questo dato si evince l’importanza dei molteplici risvolti di un corretto stile di vita, che in relazione alle aritmie può ridurre il rischio di morte del 20-35%. Tuttavia, diversi studi mettono in luce anche il fatto che al crescere dell’impegno muscolare e della durata dell’attività fisica, si riduce il beneficio, tanto più se è uno stress vigoroso: se un soggetto giovane fa attività fisica, il rischio di morte improvvisa per malattie cardiovascolari aumenta di 2,5 volte, mentre negli anziani aumenta a 5 volte. Se poi una persona in età anziana che non è abituata ad allenarsi decide improvvisamente di attivarsi, il rischio di sindrome coronarica acuta e di morte improvvisa aumenta di 50 volte. Servono quindi screening cardiologici preliminari per favorire anche l’effetto positivo dell’attività fisica”.
Il pacing fisiologico
Altra novità significativa per l’ambito cardiovascolare è il pacing fisiologico, ossia la nuova tecnica di stimolazione cardiaca tramite pacemaker. “Con il pacing fisiologico si va a stimolare un diverso punto del cuore, in particolare il fascio di His e la branca sinistra – spiega il professor Vetta –. Si rivela particolarmente rilevante per alcune patologie cardiache, in particolare per la stimolazione dopo sincope, per la stimolazione dopo la sostituzione di valvola aortica, per la terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) per lo scompenso cardiaco, per la prevenzione della cardiomiopatia indotta da stimolazione, per diverse cardiomiopatie. Con la stimolazione apicale del ventricolo destro che si attua con il pacing tradizionale vi è il rischio di un deterioramento dell’attività elettrica e della funzionalità meccanica atriale e ventricolare: può aumentare del 15-20% il rischio di scompenso cardiaco e del 50% il rischio di fibrillazione atriale. Le nuove metodiche di pacing fisiologico, come la stimolazione dell’His o la stimolazione della branca sinistra, in alcuni pazienti permettono di ridurre il rischio di queste complicanze, migliorando la prognosi sia per il decesso che per la riospedalizzazione. I dati più recenti mostrano anche come l’uso di un unico elettrocatetere che stimoli direttamente la branca possa essere molto vantaggioso per migliorare le performance cardiache e lo stato di benessere del paziente affetto da Scompenso Cardiaco. Questi progressi sono pertanto altrettanto fondamentali per favorire un invecchiamento in salute”.