Uscita dal grande gruppo delle malattie rare, oggi l’esofagite eosinofila sta diventando una vera e propria sfida per la gastroenterologia. Questa impennata è stata rivelata da uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Alimentary Pharmacology & Therapeutics. Che sottolinea come la patologia colpisca almeno 34 bambini e 42,2 adulti ogni 100.000 abitanti. Ma l’elemento chiave è la rapidità della sua progressione, che l’ha portata ormai ben oltre la soglia sotto la quale una malattia è definita rara. “Questi dati epidemiologici, che riteniamo validi anche per il nostro Paese, dimostrano la notevole diffusione dell’esofagite eosinofila nella popolazione infantile. Probabilmente il dato è anche sottostimato – spiega il professor Claudio Romano, presidente Sigenp – ed è difficile al momento valutarne le dimensioni esatte: i sintomi sono subdoli, si possono confondere con quelli di altre patologie e – al di fuori dei centri specializzati – non è così conosciuta come dovrebbe. Lo studio comparativo dell’Università di San Diego, California e dell’università del North Carolina ha appurato che tra le prime osservazioni su questa patologia, degli anni 80 e quelli più recenti, fine 2023, la prevalenza è cresciuta dell’800%. La ricerca mondiale è al lavoro, sono in arrivo nuovi farmaci”.
La diagnosi
Il più delle volte la malattia viene diagnosticata per la prima volta in pronto soccorso dove vengono portati i pazienti quando vanno incontro al blocco di un bolo alimentare nell’esofago. “È questo il più frequente incidente causato dalla malattia trascurata” afferma la professoressa Caterina Strisciuglio, associato di pediatria all’Università Luigi Vanvitelli della Campania. “Non di rado la prima diagnosi avviene in pronto soccorso quando i medici sono costretti ad intervenire in emergenza per rimuovere il bolo alimentare dall’esofago. In quanto all’incidenza, pur essendo maggiore nel secondo decennio di vita, osserviamo sempre più spesso casi di bambini che non hanno ancora compiuto 10 anni. La malattia è decisamente più frequente nel sesso maschile. Tra i sintomi che possono mettere in allarme i genitori, benchè non ne esistano di specifici, ci sono il vomito dopo i 18 mesi, se frequente o un ostinato rifiuto del cibo”.
Ci sono segnali che i genitori possono tenere sotto controllo per verificare l’eventuale esordio della malattia: “Va osservato se il bambino impiega tanto tempo per completare il pasto” spiega la dottoressa Francesca Rea, responsabile dell’Ambulatorio patologie eosinofile del tratto gastrointestinale, ospedale pediatrico Bambino Gesù, Roma, “ se mastica a lungo, se beve molto mentre si mangia, se preferisce pasti morbidi o in pezzetti molto piccoli. Questi comportamenti non vanno sottovalutati, perchè possono essere la spia di una esofagite eosinofila. Che può essere diagnosticata con certezza in fase anche precoce con un esame invasivo, ma assolutamente sicuro: una endoscopia dell’esofago, EGDS, durante la quale si fanno alcune piccole biopsie. Se nei tessuti asportati si riscontra un’abnorme quantità di eosinofili, la situazione è chiara”.
Prevenzione
Ma se diagnosticata in tempo, e questo è più facile proprio in età pediatrica, l’esofagite eosinofila può essere tenuta sotto controllo, anche se non guarita impedendole di progredire e aggravarsi. “Si possono usare normali inibitori della pompa protonica, corticosteroidi, dieta di eliminazione – sottolinea il professor Salvatore Oliva, associato presso il Dipartimento materno infantile dell’Università La Sapienza di Roma -. Ma la grande novità è un farmaco biologico appena approvato anche in Italia, e di cui stiamo aspettando la rimborsabilità anche per l’esofagite eosinofila, contro la quale è perfetto. E ce ne sono altri in fase di sperimentazione. Abbiamo però due problemi. Il primo è che molti farmaci sono efficaci, ma non essendo ufficialmente indicati contro questa malattia sono in una forma sbagliata; per esempio, i corticosteroidi che si usano per l’asma sono efficaci ma dobbiamo somministrarli in modi non previsti. In particolare, devono essere deglutiti anziché inalati. Il secondo problema è che i farmaci più nuovi non sono ancora autorizzati per i bambini. Quelli che ne avrebbero più bisogno per frenare la malattia prima che progredisca”.