Anche in epoca post-pandemica, è boom di richieste di trattamenti estetici non invasivi (o mini) e a trainare la domanda sono ancora l’effetto Zoom e le ‘mode’ imposte dai social. Continuando a imperversare a tutte le ore le famigerate ‘call’ a distanza, questo non fa che consolidare il cosiddetto ‘effetto Zoom’ (o Teams) che mette impietosamente davanti alle piccole imperfezioni del volto, come sotto una lente di ingrandimento. Anche le influencer continuano a fare la loro parte da tutte le piattaforme social, promuovendo, come sirene digitali, una serie trattamenti (soprattutto le new entry tra nuove procedure e tecnologie) dei quali sono spesso dirette testimonial, dando luogo ad un effetto ‘copycat’ (imitazione) sconvolgente e spesso improbabile. I loro profili sono sempre più vere e proprie vetrine per tecniche e trattamenti anti-aging, sdoganati e accettati da tutti gli strati sociali e a tutte le età e considerati ormai parte integrante delle routine di bellezza. Al punto che ormai, girare per negozi, palestre o feste con i ‘segni’ di un trattamento estetico ancora freschi non è più qualcosa da nascondere, ma addirittura da esibire come ‘accessorio’ da trend-setter. Insomma, il problema down time (cioè l’intervallo di tempo necessario per poter tornare alla vita sociale senza ‘segni’, dopo un trattamento estetico) per i trattamenti estetici, sembra archiviato mentre esibire le ‘prove’ di una certa consuetudine con il medico estetico, ormai fa decisamente tendenza.
Medicina di trasformazione
Ma proprio i social sono testimonial una deriva in atto nel campo della medicina estetica. “La medicina estetica – constata il professor Emanuele Bartoletti, presidente della Società italiana di medicina estetica – sta andando sempre più verso una ‘medicina di trasformazione’. Ma questo è profondamente sbagliato. La medicina estetica non deve trasformare, ma correggere i difetti che via via si presentano, oltre eventualmente a quelli ‘costituzionali’. E dovrebbe limitarsi a questo appunto, a correggere i difetti. Non a trasformare un volto, non a portare un volto ad essere ‘un altro’. Purtroppo molte terapie, e spesso le vediamo pubblicizzate sui social, vengono effettuate con un intento ‘trasformativo’ e di questo siamo davvero molto preoccupati”. Tra l’altro si tratta di una tendenza tipicamente italiana, che non si riscontra a livello internazionale. Anzi. “Gli americani che sono stati i primi a ‘trasformare’ i visi delle pazienti – afferma il professor Bartoletti – adesso stanno tornando indietro; la nuova tendenza è proprio la ricerca di un effetto più ‘naturale’. L’opposto di quanto sta succedendo da noi insomma. Ma questa tendenza alla ‘trasformazione’ deve essere bloccata, sia educando i medici, che i pazienti perché può portare a risultati grotteschi. Anche se un trattamento è ben eseguito, se non è armonico, non risulta naturali. Nel nostro campo, le esagerazioni vanno assolutamente evitate. Spesso però notiamo che sui social vengono pubblicizzati risultati secondo noi del tutto inaccettabili soprattutto a livello delle labbra, su pazienti che non avrebbero alcun bisogno di aumentare il volume, ma eventualmente solo di distenderle e che finiscono invece per essere stravolte, alla ricerca di un cosiddetto effetto ‘sexy’”. Decisamente ‘out’ anche i volti troppo ‘riempiti’ di filler, soprattutto a livello dello zigomo, nell’intento di ‘risollevare’ la cute. Questo sta portando molti a rivalutare il ‘lifting’ chirurgico tradizionale. “Con le nuove tecniche – riflette il professor Bartoletti – il lifting chirurgico dà risultati molto più naturali di questi visi che tendono ad essere riempiti in maniera esagerata nell’intento di ottenere un effetto lifting. Una sessione del nostro congresso è stata organizzata proprio per ribadire quali sono i limiti della medicina estetica che non devono essere superato e quando è giusto lasciare il passo all’intervento del chirurgo estetico”.
La dismorfofobia
Un altro aspetto da non sottovalutare nell’analisi del pubblico che si rivolge al medico estetico è quello della dismorfofobia. Se infatti i trattamenti estetici contribuiscono ad accrescere l’autostima di chi vi si sottopone, tra gli utenti si nasconde anche una minoranza di persone con dismorfofobia o con forme di vera e propria addiction da trattamento estetico che un medico esperto deve essere in grado di individuare (anche con l’ausilio di uno psicologo) per indirizzarle verso percorsi terapeutici più adatti. Il disturbo da dismorfismo corporeo, condizione psichiatrica caratterizzata dalla preoccupazione di uno o più difetti fisici non osservabili dagli altri, interessa l’1-2% della popolazione generale ma la sua prevalenza aumenta al 5-15% tra i pazienti che si sottopongono a terapie medico-estetiche. E la somministrazione di un questionario validato come il QDC (Questionario sul dismorfismo corporeo), da usare magari alla prima visita dal medico estetico, potrebbe rappresentare un valido strumento di screening. Va da sé, che anche al di fuori di questo ambito psicopatologico, il medico estetico ha una grande responsabilità nell’educare, correggere le aspettative degli aspiranti pazienti e fare debunking rispetto alla maggior parte delle (fake) news che viaggiano sui social. E a questo proposito, si registra negli ultimi tempi una presenza sempre più importante di medici sulle piattaforme social che, oltre ad auto-promuoversi, contribuiscono a fornire info certificate sui vari trattamenti e sulle realistiche aspettative di successo degli stessi. È chiaro che un medico non può comunicare con il linguaggio delle influencer, ma può sfruttare i social media per informare ed educare ad una narrativa della medicina più ‘ortodossa’ e corretta. Monitorare e presidiare i social, secondo molti professionisti della medicina estetica è insomma non solo utile, ma necessario – al limite del doveroso – per evitare che questi spazi siano occupati da personaggi che, pur non avendo alcuna competenza e titolo, si impongono come punti di riferimento per tanti.