L’ipertrofia o iperplasia prostatica benigna (BPH o IPB) è una patologia caratterizzata dall’aumento di volume della ghiandola prostatica dovuto al numero di cellule prostatiche epiteliali e stromali e alla formazione di noduli. Si tratta di una patologia molto comune negli uomini: colpisce il 5-10% degli uomini dopo i 40 anni di età e oltre l’80% dopo i 70 e 80 anni, ma produce sintomi solo nella metà dei soggetti. Il tumore della prostata si è rivelato la neoplasia maschile più frequente in Europa: viene diagnosticato ogni anno a circa 450 mila uomini. La digital health è uno strumento fondamentale per supportare i pazienti affetti da neoplasie. Attraverso l’utilizzo di dispositivi digitali, monitoraggio delle attività fisiche, applicazioni per smartphone e altri sistemi informatici, è possibile intraprendere un approccio sistematico di cura personalizzata. Questi temi sono stati affrontati nel convegno dal titolo Prevenzione, terapia e ruolo della digital health nell’Ipb e nel tumore della prostata, promosso da IISMAS e organizzato da DreamCom, con il patrocinio della Regione Lazio, e il contributo incondizionato di Recordati.

Appropriatezza terapeutica

Primo ad intervenire Andrea Tubaro, docente di urologia e direttore della Scuola di specializzazione in urologia dell’Università La Sapiena di Roma: “La domanda è come facciamo ad usare la Digital Health per raggiungere l’appropriatezza terapeutica e diagnostica, per far sì che chi ha un problema serio trovi lo spazio per essere visto […] se potessi vedere le immagini che vengono fatte in Regione Lazio da strutture convenzionate con il Sistema sanitario nazionale, che la Regione paga, senza dover far venire il paziente fisicamente in ambulatorio, già forse avrei degli spazi liberi in ambulatorio l’anno prossimo”. Anche Enrico Finazzi Agrò, docente di urologia presso l’Università di Roma Tor Vergata e responsabile dell’Unità operativa di urologia del Policlinico Tor Vergata, sottolinea l’importanza dell’innovazione tecnologica in sanità: “Sarebbe auspicabile avere dei registri elettronici addirittura a livello europeo, integrare l’intelligenza artificiale per l’imaging, la telemedicina e il monitoring di quello che facciamo”.

Processo di digitalizzazione

Dello stesso parere Giuseppe Simone, direttore Uoc di urologia dell’IFO Istituto Regina Elena di Roma: “Da noi in Istituto il processo di digitalizzazione è prossimo ad essere completo al 100%, ciò vuol dire che la cartella non sarà più cartacea in toto e non saremo più costretti a stamparla per archiviarla; relativamente all’applicazione che questo può avere nel rapporto con il paziente, non dobbiamo pensare di sostituire il consulto medico né di perdere il contatto fisico con il paziente, perché alcune cose bisogna valutarle avendo la persona seduta di fronte […] Abbiamo un progetto approvato da poco che riguarda l’introduzione di un’automatizzazione del consulto che il paziente chiede al medico, attraverso un link che contiene una serie di informazioni di base, anche per testare come i singoli specialisti si approcciano allo stesso caso clinico, in maniera più o meno aderente alle linee guida”. “Nel 2023 non è più un problema di software, non abbiamo limiti da un punto di vista tecnologico: il limite che abbiamo è da un punto di vista procedurale. […] La digitalizzazione è gestione operativa, cioè, analizzare l’intero processo di presa in carico del paziente e trasformarlo in un’ottica digitale, che non vuol dire prendere un pdf che prima era stampato e trasformarlo in un pdf editabile sul proprio pc o sul proprio tablet, ma vuol dire cambiare l’approccio. La digitalizzazione può avvenire solo quando c’è una vera consapevolezza del fatto che deve cambiare l’approccio al processo di presa in carico”, ha affermato dal canto suo Giuseppe Navanteri, responsabile ingegneria clinica e tecnologie e sistemi informatici dell’IFO Istituto Regina Elena di Roma.