Così come dimostrato dalla pandemia Covid-19, il rischio della diffusione di malattie apparentemente ubicate solo in alcune aree geografiche, in particolare nelle regioni tropicali dei Paesi in via di sviluppo, ha reso necessaria una visione più ampia nella tutela della salute. Per questo motivo oggi nei documenti ufficiali dell’Oms si parla di one health, cioè la difesa del benessere pubblico in tutte le sue forme, umane, animali e vegetali. Su questo tema rappresentanti istituzionali ed esperti del settore si sono interrogati nel corso del convegno dal titolo La cooperazione sanitaria nel mondo: l’impegno della Regione Lazio per lo sviluppo clinico-scientifico in Kurdistan, organizzato da Dreamcom, presso la sede della Regione Lazio, e promosso da Istituto internazionale scienze mediche antropologiche e sociali e Istituto San Gallicano di Roma. All’incontro, coordinato e moderato dal professor Aldo Morrone hanno portato unsaluto ai partecipanti anche l’onorevole Domenico Gramazio e l’onorevole Marietta Tidei, che esorta un investimento importante della Regione Lazio per la cooperazione sanitaria, per dotare i progetti delle risorse necessarie alla loro realizzazione.

Cultura sanitaria

Soran Ahmad, presidente Istituto Kurdo a Roma, ha affermato: “Possiamo avere ospedali belli, belle attrezzature e bravissimi medici, però manca totalmente una cultura sanitaria: ci sono ospedali non collegati, dati che non si trovano; quindi, questi progetti diventano di stimolo per costruire un tipo di sanità che manca. In Italia, nonostante venga spesso criticata, la sanità è un’eccellenza, c’è un’enorme differenza”. A sottolineare le diversità anche Nejib Doss, dell’ospedale militare di Tunisi, che ha rimarcato “un enorme gap tra i sistemi sanitari dei Paesi occidentali e quelli del Sud”, parlando anche dell’importanza delle associazioni: “Molte associazioni in tutto il mondo stanno facendo del loro meglio per aiutare, nonostante il budget limitato. Ma abbiamo bisogno di politiche chiare per andare incontro ai bisogni delle diverse popolazioni. […] Credo fermamente che, insieme, possiamo andare lontano nella prevenzione, formazione e gestione di alcune malattie”.

Salute è prerequisito per accedere ai diritti

A portare il suo contributo pure Ermete Gallo, direttore sanitario Istituto San Gallicano e Istituto Regina Elena: “In Italia diamo per scontato il concetto della salute con l’art. 32, ma non riusciamo a comprendere che la salute, soprattutto nei Paesi più disagiati, è il prerequisito per accedere ad altri diritti, tra cui il diritto al lavoro. Se privo le persone della salute, le privo di tutto il resto. La linea da seguire è ragionare secondo il Diritto Internazionale e la cooperazione per migliorare i diritti e far crescere le altre popolazioni”.

A parlare di collaborazione è stato anche Antonio Cristaudo, già direttore del dipartimento di dermatologia clinica dell’Istituto San Gallicano: “La sanità pubblica non riesce ad arrivare da tutte le parti, per vari problemi. Il nostro compito è arrivare dove gli altri non arrivano, non solo in Italia ma con progetti di ricerca in collaborazione con altre nazioni e altri Istituti. […] Questo è il senso del progetto clinico-scientifico del Kurdistan, un progetto di collaborazione alla pari, dove riusciamo a dare le nostre conoscenze e loro ci danno quelle che sono le loro conoscenze”. A sottolineare il potenziale ruolo fondamentale del Lazio Fabrizio Molina, consigliere politico del presidente della Regione Lazio: “Dobbiamo tener presente che i problemi di salute sono diventati emblematicamente pandemici: se voglio difendere la mia popolazione del Lazio devo cercare di divulgare salute anche molto lontano dal Lazio. […] Vogliamo dare l’idea che il Lazio e i suoi abitanti non abbiano solo il riconoscimento dei servizi di cui hanno diritto, ma l’orgoglio di una Regione che dà qualcosa di sé per il raggiungimento di un mondo migliore”.