Pubblicate le nuove linee guida intersocietarie sull’epatocarcinoma, già adottate dall’Istituto superiore di sanità. Il documento è frutto del lavoro di dieci società scientifiche e di un’associazione dei pazienti, oltre che dei metodologi dell’Istituto Mario Negri di Milano, che hanno permesso di adottare il metodo GRADE, che analizza con il massimo rigore le evidenze scientifiche disponibili. Attraverso le risposte a 20 quesiti clinici, supportate dalla letteratura scientifica internazionale, le linee guida definiscono con precisione il tipo di trattamento più adeguato per ogni paziente, in base allo stadio del tumore e alla patologia epatica sottostante. Le linee guida sono state realizzate perseguendo tre obiettivi: migliorare e standardizzare la pratica clinica; offrire al paziente la possibilità della migliore cura sull’intero territorio nazionale; garantire un riferimento basato sulle migliori prove di efficacia. La presentazione delle linee guida è avvenuta nell’ambito del 55° congresso nazionale dell’Associazione italiana per lo studio del fegato.
La gestione terapeutica
“Queste nuove Linee Guide rappresentano un importante documento sulla gestione terapeutica dell’epatocarcinoma – sottolinea il professor Giuseppe Cabibbo, membro del Comitato scientifico Aisf e coautore del documento -. Abbiamo affrontato lo studio del tumore primitivo del fegato dai suoi stadi iniziali fino a quelli più avanzati, analizzando in maniera completa e rigorosa i diversi approcci terapeutici possibili: le terapie radicali (trapianto, resezione, ablazione) e quelle locoregionali (transarteriose e radioterapiche) nei diversi stadi della malattia, da quelli precoci a quelli più avanzati, nonché la terapia sistemica per quei tumori che non hanno risposto alle terapie precedenti o che sono in uno stadio troppo avanzato per potere essere aggrediti con terapie potenzialmente curative o locoregionali. Naturalmente questo documento non può essere considerato un elemento statico, ma andrà ampliato negli argomenti analizzati (sorveglianza del paziente a rischio, diagnosi e stadiazione) ed aggiornato periodicamente alla luce dell’evoluzione della ricerca”.
20 morti al giorno da complicanze da cirrosi epatica
“L’epatocarcinoma è la tredicesima causa di morte in Italia, con circa 30 morti ogni giorno – sottolinea il professor Alessio Aghemo, segretario Aisf -. A questi numeri vanno aggiunti anche i circa 20 morti al giorno per complicanze della cirrosi epatica, la malattia che è alla base della maggior parte dei casi di epatocarcinoma in Italia. L’HCC è una neoplasia che frequentemente compare in un fegato già danneggiato e, per questo motivo, la scelta del trattamento è complessa e deve per forza bilanciare aggressività, tollerabilità e sicurezza, in modo da non portare ad un ulteriore sofferenza del fegato danneggiato”.
L’approccio multidisciplinare
Il tumore del fegato presenta specificità uniche in ambito oncologico, che hanno richiesto l’intervento di specialisti di diverse discipline. “Anzitutto, in oltre il 90% dei casi, l’epatocarcinoma si sviluppa nel contesto di un fegato cirrotico e, quindi, la prognosi di questi pazienti dipende non solo dallo stadio del tumore, ma anche dalla funzione epatica residua – spiega Franco Trevisani, ordinario di medicina interna all’Università Bologna e coautore del lavoro -. Inoltre, la severità della cirrosi, insieme ad altre comorbidità, condiziona fortemente la scelta terapeutica. Parimenti, la prognosi è condizionata dai trattamenti per la patologia epatica sottostante (antivirali, azioni per migliorare lo stile di vita). Infine, la disponibilità di numerosi trattamenti (trapianto di fegato, resezione epatica, ablazione percutanea/laparoscopica, diversi tipi di trattamenti transarteriosi, radioterapia stereotassica e diversi tipi di terapie sistemiche, come farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapia), adatti alle diverse fasi della neoplasia, rende indispensabile un approccio multidisciplinare che comprenda competenze epatologiche, oncologiche, chirurgiche, radiologiche e anatomo-patologiche. Questa multidisciplinarietà si è tradotta nel lavoro corale di 10 società scientifiche, coadiuvate da un’associazione dei pazienti, che ha permesso di mantenere uno stretto contatto con la realtà vista da una prospettiva diversa”.
Il ruolo dell’epatologo
“In questo processo rimane centrale il ruolo dell’epatologo, tanto nella fase di prevenzione, quanto dopo la diagnosi, sia perché è lo specialista che meglio conosce le varie fasi di gestione della malattia, sia perché il paziente che va incontro a epatocarcinoma è quasi sempre affetto da malattia cronica di fegato – evidenzia la professoressa Vincenza Calvaruso, componente del Comitato scientifico Aisf -. L’epatologo deve intervenire rapidamente sulle patologie epatiche che ne sono all’origine: dati scientifici nazionali e internazionali dimostrano che i trattamenti per l’epatite C e per l’epatite B determinano una riduzione del rischio di comparsa del tumore; analogamente, anche lo stile di vita ha un peso rilevante, stante i benefici prodotti dall’interruzione dell’assunzione di alcol e da una correzione alimentare. Inoltre, a seguito delle campagne contro le epatiti virali, abbiamo riscontrato un aumento dei pazienti con epatocarcinoma ad eziologia non virale, che ci indicano la necessità di migliorare la prevenzione e riconoscere chi presenta un maggior rischio di tumore e, come tale, debba essere gestito”.