I dati relativi alla sopravvivenza dei tumori sono sempre più elevati e il modello attuale di assistenza oncologica, focalizzato sulla fase acuta di malattia, sta diventando sempre meno attuale e poco utile per numerosi pazienti. Da questa esigenza parte l’impegno dell’Associazione onconauti, che ha realizzato in collaborazione con le istituzioni sanitarie pubbliche un programma integrato di riabilitazione integrata successivo al trattamento che permette un pieno reinserimento dei pazienti nella vita sociale e lavorativa, riducendo anche il rischio di recidive e di altre patologie. L’iniziativa ha già coinvolto circa duemila persone in alcuni centri dove è già stata implementata, in Emilia Romagna (Bologna, Ferrara, Imola), Lombardia (Milano), Sicilia. La proposta dell’Associazione consiste nell’aprire un “laboratorio sperimentale” alla ricerca di una nuova chiave di lettura del follow up, quella dei trattamenti integrati e degli interventi sullo stile di vita in continuità della presa in carico tra ospedale e territorio, che vede le reti di associazioni di pazienti come indispensabile elemento di “cerniera” tra questi due ambiti e la presenza dei pazienti “esperti” in tutti gli snodi dei Pdta.

Il 10° congresso onconauti

La nuova tappa degli onconauti riguarda adesso la Capitale, dove il progetto è realizzato insieme al Centro Komen Italia per i trattamenti integrati in oncologia della Fondazione Policlinico Gemelli. La presentazione dell’iniziativa è avvenuta l’8 ottobre con il 10° congresso annuale dell’Associazione Onconauti “La vita dopo il cancro: il confine tra sopravvivenza e guarigione. Nuove prospettive di follow up oncologico tra ospedale e territorio, grazie ai trattamenti integrati e alla telemedicina”. Da qui è partito lo stimolo per un confronto tra oncologi, pazienti, esperti di trattamenti integrati e istituzioni sulla necessità di innovazione del modello organizzativo del follow up oncologico.

Il 6% della popolazione ha avuto un tumore

I dati che impongono una riflessione sul tema sono eloquenti. In Italia, ad essere sopravvissuti a un tumore sono circa 3milioni 609mila persone (dati AIRTUM 2021), ossia il 5,7% della popolazione. Si tratta di un incremento del 37% in 10 anni. La sopravvivenza a 5 anni è passata dal 39% nel 1990-1992 al 57% nel 2005-2007, fino al 64% del 2019. Tuttavia, almeno il 60% dei cancer survivors – guariti o in remissione dopo le terapie – presenta sintomi fisici o psichici e necessità di terapie di supporto attualmente non riconosciute dall’attuale modello di presa in carico (follow up oncologico). “Negli ultimi 30 anni abbiamo assistito a percentuali di guarigione che, in caso di diagnosi precoci, possono raggiungere il 90% dei casi – spiega il dottor Stefano Magno, chirurgo senologo della Fondazione Policlinico Gemelli –. Il trend è migliorato per quasi tutti i tumori solidi. Per il tumore al seno, ad esempio, le guarigioni superano il 90% dei casi, con un tasso di sopravvivenza a 10 anni superiore all’80%. Ogni anno in Italia si ammalano 55mila nuove donne: considerando i dati sulla sopravvivenza, si intuisce l’aumento esponenziale ogni anno di queste pazienti. Analogo discorso vale per il tumore al colon-retto: aumenta l’incidenza, ma le percentuali di guarigione sono migliorate. Questo quadro apre la prospettiva della lungo sopravvivenza, che però pone la sfida della qualità di vita. Un problema è l’eccesso di peso, con il paziente che adotta o accentua una vita sedentaria, provocando rischi anche per altre patologie (cardiovascolari, metaboliche, diabete, ecc.). Poi ci sono i bisogni della vita sociale, i disturbi dell’umore, l’ansia, la paura di una recidiva, con conseguenze a livello psicologico, oltre a vampate di calore, la qualità del sonno scaduta, la fatigue, le problematiche legate alla sessualità. Sono tutti bisogni di salute importanti che le donne spesso non riescono a esprimere, non hanno rimedi, subiscono un blocco psicologico per cui spesso questi problemi neppure emergono ma restano sommersi. Da qui parte la necessità di un nuovo modello”.

Il dottor Stefano Magno.

Il progetto

“Stiamo scontando una quasi totale assenza di percorsi riabilitativi integrati per i pazienti, sempre più numerosi, che superano i tumori. Ciò implica per costoro una difficoltà nella ripresa di una vita normale – sottolinea Stefano Giordani, direttore scientifico dell’Associazione onconauti -. L’Associazione Onconauti da 10 anni ha validato un nuovo metodo di riabilitazione integrata oncologica: consiste in trattamenti come attività non farmacologiche che si sono dimostrati di provata efficacia scientifica nell’intervenire contro vari disturbi, che si possono realizzare in presenza e da remoto. Ai pazienti viene offerto un programma personalizzato di trattamenti integrati, come lezioni di yoga, agopuntura o shiatsu, interventi sullo stile di vita per stabilire un’alimentazione salutare e svolgere attività fisica regolare; ricevere supporto psicologico (arteterapia, mindfulness, ecc); e, in caso di necessità specifiche, sedute di fisioterapia. La combinazione di questi tre elementi (trattamenti integrati, stile di vita corretto, supporto psicologico) in un percorso della durata di tre mesi ha dimostrato il miglioramento della qualità di vita e dei sintomi nell’86% dei partecipanti, che possono così riprendere l’attività lavorativa. Si riducono ansia, depressione, dolore, affaticamento, si migliora l’efficienza psico-fisica. Questo tipo di interventi, conferma la letteratura scientifica, sono inoltre in grado nei tumori più frequenti di ridurre anche il rischio di recidiva della malattia e aumentano la sopravvivenza, diventando quindi parte integrante del trattamento oncologico stesso. Fondamentali in questo percorso risultano la tecnologia per la teleriabilitazione, la presenza sul territorio e la personalizzazione degli interventi. Applicando questo modello sarà presto possibile trasformare il follow up oncologico in una “Precision Survey”, basato sulla multidisciplinarietà, con gli oncologi che lavorando in team con psicologi, nutrizionisti ed esperti di terapie integrate potranno intervenire non solo sulla cura della malattia, ma anche sul benessere della persona e dei suoi famigliari”.