Sebbene le persone abbiano più familiarità con le conseguenze dell’aterosclerosi a livello di cuore (infarto) e cervello (ictus), questa malattia colpisce molto spesso anche gli arti inferiori (arteriopatia periferica, PAD), e con frequenza crescente, visto anche l’invecchiamento della popolazione. A soffrire di questa condizione, che interessa 40 milioni di persone in Europa e 200 milioni nel mondo, è un italiano su 10,dopo i 40 anni (nelle varie forme, da iniziale asintomatica, ad avanzata). È bene dunque imparare a riconoscerne segni e sintomi perché la terapia medica può solo rallentarne la progressione, ma non ‘cancellare’ il problema.
Le conseguenze del Covid
“Purtroppo questi due anni di Covid-19 – afferma Luca Santoro, presidente eletto della sezione Lazio-Molise della Simi – sono stati drammatici da questo punto di vista. Stiamo vedendo un gran numero di pazienti con arteriopatia in fase avanzata, quando solo il chirurgo può fare qualcosa”. È importante dunque interpretare correttamente i sintomi di questa malattia, presenti sin dalle prime fasi, per intervenire subito con le giuste terapie. A differenza di quanto avviene in altri distretti, quando l’aterosclerosi può manifestarsi d’emblée con un infarto o un ictus, nel caso degli arti inferiori, la PAD dà sintomi precocemente e questo dà al medico tutto il tempo per intervenire. “Le arterie delle gambe – prosegue Santoro – portano nutrimento e ossigenazione ai muscoli che noi utilizziamo per camminare, per correre, per fare una partita a calcio o a padel; le manifestazioni della malattia vengono dunque tipicamente scatenate dall’attività fisica, perché mentre camminiamo o corriamo i muscoli richiedono più ossigeno; ma se le arterie sono ristrette o ostruite dall’aterosclerosi, il flusso di sangue è ridotto e i muscoli vanno in sofferenza. I pazienti dunque cominciano a avvertire dei dolori, tipicamente al polpaccio o al gluteo, mentre camminano o fanno sport; i dolori scompaiono quando il paziente si ferma, perché in questa fase il muscolo ‘richiede’ meno sangue. Questa problematica è abbastanza frequente negli over 50 soprattutto se fumatori, diabetici e dislipidemici”.
I fattori di rischio
I fattori di rischio della PAD sono quelli classici delle malattie cardiovascolari: fumo, diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, sedentarietà oltre a sesso (i maschi sono più colpiti) el’età avanzata. “Per fare diagnosi di PAD – spiega il Luca Santoro – la clinica viene già in aiuto perché i sintomi sono abbastanza tipici (si chiamano claudicatio intermettens), anche se possono essere confusi con una lombo-sciataglia, dovuta a problemi della colonna lombo-sacrale. Il sospetto diagnostico va confermato andando a studiare l’albero arterioso in maniera semplice e non invasiva attraverso un eco-color-doppler arterioso degli arti inferiori; questo esame consente di visualizzare l’arteria, di vedere se al suo interno ci sono placche aterosclerotiche e calcificazioni che ostruiscono il vaso e di valutarne l’entità per indirizzare il paziente verso la giusta terapia”. Il trattamento è mirato innanzitutto alla correzione dei fattori di rischio (astensione completa dal fumo, controllo della pressione, del colesterolo e, se presente, del diabete, con terapie mirate).
Esercizio fisico
“Molto importante – prosegue il dottor Santoro – è consigliare al paziente di fare esercizio fisico con costanza perché questo migliora il metabolismo dei muscoli e induce l’organismo a formare tanti piccoli by-pass naturali, che portano il sangue ai muscoli scavalcando l’arteria ostruita (vasi collaterali)”. La terapia farmacologica si basa su farmaci anti-aggreganti (come l’aspirina e il clopidogrel), statine (farmaci anti-colesterolo che hanno un effetto importante sul danno della parete arteriosa), farmaci per migliorare il metabolismo muscolare (levo-carnitina). “Da qualche anno – prosegue Santoro – abbiamo a disposizione anche il cilostazolo, un farmaco molto importante per la PAD che ha sia proprietà anti-aggreganti (potenzia quelle dell’aspirina e in genere viene associato a questa terapia) e vaso-dilatatrici; questo consente al paziente di migliorare la sua autonomia di marcia (la distanza che si può percorrere camminando, prima che insorga il dolore), migliorando così la sua qualità di vita. Quando la malattia è troppo avanzata, è necessario ricorrere alla rivascolarizzazione chirurgica, che in genere viene oggi effettuata per via endovascolare. Nelle forme molto avanzate, quando si sia instaurata un’ischemia critica e sia comparsa necrosi dei tessuti periferici (piede), il chirurgo deve ricorrere all’amputazione (più frequente negli uomini, negli anziani e nelle persone con diabete).
Patologia meno conosciuta
“L’arteriopatia degli arti inferiori – conclude il professor Giorgio Sesti, presidente della Società italiana di medicina interna – è senza dubbio la meno conosciuta tra le complicanze cardiovascolari dei grandi vasi, ma non per questo è meno grave. L’arteriopatia degli arti inferiori colpisce molti milioni di persone nel mondo, 40 milioni nella sola Europa, soprattutto al di sopradei 50 anni. La mortalità in Europa occidentale si attesta globalmente a 3,5 per 10 000 individui ed è dovuta ad eventi cardiovascolari, essendo comuni i meccanismi aterogeni che causano l’ostruzione dei vasi arteriosi. Oltre all’aumentato rischio di mortalità per cause cardiovascolari, l’arteriopatia degli arti inferiori è uno dei fattori principali di ulcera del piede nelle persone con diabete, una complicanza che può avere grave effetti sia sulla salute, che sulla qualità di vita. Infatti, solo due terzi dei soggetti con ulcere del piede guariscono, mentre il 28% può arrivare ad un’amputazione, minore o maggiore. Ogni anno nel mondo oltre 1 milione di persone subisce un’amputazione di una parte dell’arto inferiore,in conseguenza del diabete. In Italia vengono effettuate circa 10 mila amputazioni l’anno, tra le quali 3 mila maggiori. Ogni 90 minuti una persona con diabete subisce un’amputazione”.