Uno studio di medicina evoluzionistica fa luce sui meccanismi che hanno reso il cervello dell’uomo (e dei grandi primati) più complesso e insieme più vulnerabile, in particolare più a rischio di reagire allo stress sviluppando malattie psichiatriche. Il lavoro, pubblicato sul ‘Journal of Neuroscience’ e coordinato dall’università Statale di Milano, apre all’identificazione di nuove strategie terapeutiche contro questi disturbi. La medicina evoluzionistica – spiegano da UniMi – è un approccio della ricerca biomedica che intende contribuire alla comprensione del percorso evolutivo che ha portato gli esseri umani al loro stato attuale. Questo tipo di indagini sono un prezioso strumento per capire l’evoluzione delle funzioni più complesse del cervello umano, come le emozioni, il linguaggio e la creatività, ma anche dei meccanismi alla base di alcune patologie specifiche dell’organo. E’ questo approccio che ha guidato lo studio del gruppo di Elena Battaglioli e Francesco Rusconi, del Dipartimento di biotecnologie mediche e medicina traslazionale della Statale, condotto principalmente da Chiara Forastieri con la collaborazione di Beatrice Bodega e Valeria Ranzani.
Lo studio
Il lavoro descrive “un rilevante processo molecolare proprio unicamente dei primati superiori e dell’uomo, grazie al quale il fattore RbFOX1 acquisisce evolutivamente la capacità di regolare i livelli cerebrali di LSD1, un noto regolatore della risposta allo stress ambientale. In questo modo i due enzimi RbFOX1 e LSD1, particolarmente espressi nel cervello e già caratterizzati per il loro indipendente ruolo omeostatico di protezione di neuroni eccitatori e dei circuiti legati al controllo delle emozioni, diventano in grado di collaborare nel cervello umano. Ciò contribuisce ad aumentare considerevolmente la complessità molecolare dei processi cognitivo-emotivi necessari per l’adattamento all’ambiente. Il risvolto della medaglia è che, al crescere della complessità di un sistema, aumenta anche la sua vulnerabilità”. Secondo gli autori, “questa ricerca potrà contribuire a comprendere alcuni dei processi patologici innescati da forte stress emotivo che portano allo sviluppo di derive psichiatriche e ad evidenziare nuovi possibili target farmacologici”.