Sembra una beffa, uno scherzo di cattivo gusto, ma è invece una tangibile realtà. E riguarda le più deboli fra le persone con disabilità e le loro famiglie. A giugno 2020 la Corte costituzionale ha pronunciato una sentenza (la 152) che ha prodotto un effetto che il Parlamento in 20 anni non era riuscito a centrare: aumentare ad un livello di minimo vitale le pensioni degli invalidi civili totali. La pensione (291 euro al mese), per chi non ha altri introiti, può essere incrementata di 368,58 euro. La cifra diminuisce se si dispone di redditi anche minimi fino ad azzerarsi se raggiungono, pensione inclusa, gli 8.583,51 euro. Un aiuto in più soprattutto per i meno abbienti che ha raccolto, a posteriori, il plauso anche di molti parlamentari ed esponenti governativi. In queste settimane si segnala un picco mai visto di richieste di Isee, la certificazione necessaria per accedere a prestazioni sociali agevolate o per ottenere benefici. Fra questi vi è il nuovo assegno unico ed universale, salutato come misura di straordinaria importanza per le famiglie, per i figli, per il supporto alla natalità. Ecco, quindi, che la sorpresa diviene ora tristemente evidente: gli incrementi delle pensioni di invalidità, quelli sanciti dalla Corte Costituzionale, vengono conteggiati nell’Isee, da Inps e Agenzia delle entrate, alla stessa stregua di un reddito. L’Isee di chi percepisce le maggiorazioni si alza, i benefici diminuiscono. E se ne sono accorte molte famiglie che in questi giorni hanno ottenuto il nuovo Isee “stranamente” più alto.
Sanare la situazione
CoorDown, Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down e Uniamo, la Federazione delle associazioni di persone con malattie rare d’Italia e FAVO, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia, rivolgono un appello al ministro del lavoro e delle politiche sociali e chiedono di chiarire e sanare la situazione grave causa di disorientamento e disagio di tante persone e famiglie con disabilità. Il calcolo dell’Isee deriva da una regolamentazione definita nel 2013 (DPCM 159). In origine era previsto che le pensioni e gli assegni delle persone con disabilità fossero considerati dell’indicatore della situazione reddituale. Sul punto però vi furono tre ricorsi al Tar e poi tre sentenze di Consiglio di Stato (841, 842 e 838 del 2016) che costrinsero il legislatore a escludere dall’Isee “i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità.” (legge 89/2016). Ora, a quanto pare, ci risiamo: le pensioni di invalidi, ciechi e sordi tornano ad essere reddito, almeno per le maggiorazioni. Non è chiaro se l’interpretazione – che ha i tratti di un abuso – sia una scelta autonoma di Inps e Agenzia delle entrate oppure vi sia un avallo politico. Di questo, appunto, chiediamo conto anche per scongiurare altrimenti inevitabili contenziosi.