“Nella Casa circondariale di Spini di Gardolo la cosa più urgente è tornare alla normalità, perché la pandemia ha reso estremamente difficile la situazione comprimendo ancor più le già limitate libertà delle persone detenute e aggravando i problemi interni”. Sono le parole con cui la Garante dei diritti dei detenuti, Antonia Menghini, ha manifestato la sua forte preoccupazione per le varie criticità che interessano il carcere di Trento, da lei evidenziate presentando oggi pubblicamente la sua relazione annuale a palazzo Trentini. Menghini ha sollecitato le istituzioni ad un incontro perché si impegnino, ciascuna per la propria parte, a gestire questa fase di emergenza straordinaria all’interno del carcere dove, non a caso, si sono recentemente verificati anche episodi di violenza riconducibili al crescente disagio psichico delle persone detenute. Per rispondere ai bisogni di chi è detenuto e e di chi lavora nella casa circondariale, la Garante ritiene prioritarie 4 azioni: incrementare il personale oggi insufficiente sia tra gli educatori che tra gli agenti di polizia penitenziaria; ripristinare l’assistenza sanitaria nell’arco delle 24 ore; creare un centro diurno per fronteggiare il disagio psichico; infine investire ancor più nella formazione e nel lavoro. La presentazione del rapporto è stata introdotta da Walter Kaswalder, presidente del consiglio provinciale, nel quale è incardinato l’ufficio del Garante, che oltre ad esprimere grande apprezzamento per l’impegno di Menghini, ha confermato le difficoltà da lei segnalate avendo visitato il carcere alcuni mesi fa. L’assessora alla salute e al welfare Stefania Segnana, presente a tutto l’incontro, ha ringraziato la Garante e assicurato di voler portare avanti la collaborazione instaurata con lei e la direttrice del carcere, sfociata nel 2020 nell’assunzione di una psicologa e nell’assegnazione di uno psichiatra a tempo pieno. E in una delibera con cui, venerdì scorso, la giunta provinciale ha aumentato la retribuzione oraria dei medici della Casa circondariale allo scopo di rendere più appetibile la scelta di lavorare nel carcere”.
L’incidenza della pandemia
È la pandemia la grande protagonista della relazione 2020, in cui la Garante ha cercato di mettere in luce quali sono state le immediate ricadute dell’emergenza Coronavirus rispetto alla realtà del carcere, più in generale, e con riferimento specifico alla realtà locale della casa circondariale di Spini di Gardolo. In primo luogo, la pandemia ha inciso in maniera significativa sulla vita all’interno degli istituti comportando, in ultima analisi, un’ulteriore limitazione dei diritti delle persone detenute, seppur conseguente alla miglior tutela dell’interesse alla salute considerato sempre preminente. Così, per lungo tempo, sono stati interdetti i colloqui in presenza con i familiari e gli ingressi di operatori e volontari. L’offerta trattamentale, intesa in senso ampio, ha sofferto significative contrazioni. È ciò che è accaduto anche all’interno della casa circondariale di Spini di Gardolo, dove, nonostante i significativi sforzi della direzione per garantire alle persone detenute quantomeno l’attività lavorativa, vi sono stati lunghi periodi in cui la didattica si è svolta solo attraverso la reciproca consegna di materiale cartaceo e gli addetti agli sportelli e gli altri volontari hanno visto fortemente limitato l’accesso alla struttura. La “vita detentiva” ne è uscita stravolta e, seppure per un motivo più che condivisibile, è andata acuendosi quella lontananza dal mondo reale che è già, purtroppo, la cifra distintiva del carcere. La pandemia ha inoltre inciso in maniera significativa, seppur ancora non risolutiva, sui numeri delle presenze delle persone detenute nelle carceri, facendo registrare significative flessioni sia a livello nazionale (-7000 detenuti circa durante la prima ondata di virus. Al 31 maggio 2020 le persone detenute ammontavano a 53.387, a fronte delle 61.230 di fine febbraio 2020. Al 31 ottobre 2021 erano 54.307), sia a livello locale (-46 detenuti durante la prima ondata e -30 circa durante la seconda ondata. Le persone detenute risultavano essere 272 al 31 maggio 2020 a fronte delle 318 di fine febbraio 2020. Ad oggi sono 300): ciò è dovuto più all’importante lavoro svolto dalla Magistratura di Sorveglianza – che ha saputo rivisitare alcuni istituti già presenti alla luce della contingente pandemia – che ai provvedimenti normativi adottati a livello governativo che si sono rivelati insoddisfacenti rispetto alla finalità deflattiva che si prefiggevano. Da segnalare inoltre la pesante ricaduta che la pandemia ha avuto anche sugli operatori alle dipendenze del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, prima tra tutti la polizia penitenziaria che ha registrato nelle sue fila un numero di contagi rilevante, oltre ad una evidente difficoltà nel gestire sul lungo periodo una situazione emergenziale tanto imprevedibile quanto gravida di conseguenze pesanti sulla vita degli istituti di pena.