Grazie all’intelligenza artificiale, sarà possibile non solo diagnosticare tempestivamente l’insorgere della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) ma anche predire la progressione, più o meno veloce, del suo futuro andamento. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Neurodegeneration,ha scoperto che una particolare analisi del sangue permetterà di decodificare una sorta di ‘messaggi in bottiglia’ rilasciati dalle cellule e da cui sarà possibile conoscere il loro stato di salute. Una prospettiva importante per una patologia che solitamente viene diagnosticata dopo diverse indagini mediche ripetute nel tempo da parte di un neurologo esperto. La scoperta è il risultato dello studio multicentrico italiano disegnato e coordinato da Valentina Bonetto, responsabile del laboratorio di biomarcatori traslazionali dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri IRCCS e da Manuela Basso del dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata (CIBIO) dell’Università di Trento in collaborazione con il centro CRESLA, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, l’Azienda ospedale Università di Padova e a Milano: il Centro clinico NeMO, ICS Maugeri e la Casa cura Policlinico. Le vescicole, prelevate tramite un semplice prelievo del sangue, sono state isolate e caratterizzate. I dati ottenuti sono poi stati analizzati e rielaborati da Francesco Rinaldi del dipartimento di matematica dell’Università di Padova, che ha utilizzato dei modelli di intelligenza artificiale per predire, con accuratezza, se le vescicole extracellulari appartenevano a un individuo sano o affetto da patologia degenerativa.
“Abbiamo sviluppato – spiega Laura Pasetto dell’Istituto Mario Negri, primo autore del lavoro – un protocollo rapido che permette di misurare le caratteristiche delle vescicole extracellulari nel sangue dei pazienti affetti da SLA. Abbiamo decodificato le informazioni derivanti da queste piccole particelle lipidiche circolanti nel sangue e abbiamo capito come distinguere questi pazienti da altri affetti da diverse malattie neurologiche e muscolari”. “I dati raccolti con questa caratterizzazione – aggiunge Manuela Basso – mostrano che le vescicole di pazienti SLA hanno dimensioni e livelli di proteine diversi da controlli sani e pazienti affetti da distrofie muscolari o malattia di Kennedy, malattie che possono mostrare sintomi simili nelle fasi precoci. Utilizzando questi parametri siamo riusciti anche a predire in maniera accurata la velocità di progressione della malattia”.
Ritardo nei protocolli
“I pazienti SLA – spiegano Andrea Calvo, del Centro regionale esperto per la SLA di Torino (AOU Città della Salute e della Scienza di Torino e Dipartimento di Neuroscienze Università di Torino) e Christian Lunetta del Centro Clinico NeMO di Milanoe medical director di AISLA – ricevono una diagnosi conclusiva, in media, dopo circa un anno dall’insorgenza dei sintomi, vivendo lunghi periodi di frustrazione, e vengono inseriti con grande ritardo nei protocolli di cura sperimentali, riducendo le probabilità di successo. La malattia è inoltre molto eterogenea sia per aggressività che per velocità di progressione rendendo difficoltosa la prognosi e la pianificazione delle cure. “L’identificazione di biomarcatori – conclude Valentina Bonetto – specifici e predittivi per diagnosi e prognosi sarebbe dunque di grande aiuto non solo per la gestione clinica dei pazienti ma anche per lo sviluppo di una terapia efficace. Gli stessi risultati sono emersi nei modelli animali e questo è promettente anche per il monitoraggio di future sperimentazioni farmacologiche. Ora ci attendono studi di validazione per poter trasferire le scoperte, rilevate su un campione composto da 106 pazienti SLA e 96 soggetti controllo, alla pratica clinica”.