Patricia Pugliese è una professoressa. Uno dei tanti insegnanti che, dall’inizio della pandemia ad oggi, pur tra mille difficoltà logistiche e relazionali non hanno mai smesso di trasmettere il sapere. Sì perchè a conti fatti la cultura è l’unica cura che libera da tutti i virus. Ecco il suo racconto.
Drinn…Drinnn… suona la campana. Uno stormo colorato dai volti noti ma ora nascosti si riversa per i corridoi… E’ tutto un vociare sfuocato, filtrato, qualcuno mi viene incontro ma non osa toccarmi, abbracciarmi… “Prof! La mascherina!” Se si abbassa troppo o mi avvicino troppo è tutto un latrare di prof… prof… Una linea gialla mi separa da loro mentre le gambette esili dei loro banchi stanno concentrate in un piccolo quadrato rosso, uno per ogni banco. Da lì non ci si sposta, non ci si muove e se qualcuno lo fa ha un passo incerto, timoroso. Dove sono finite le mie cavallette pieni di ormoni? I bei sorrisi larghi che erano pronti a sbeffegiarsi del mio? Non scambio più un sorriso con loro, non vedo più il rossetto color ciliegia della Noemi, così come il neo sul labbro superiore dell’Agnese… Chissà se dopo un anno di pandemia quel neo è cresciuto o è stramazzato a terra a furia di stare chiuso in un sacchetto azzurro che prende possesso anche delle nostre orecchie… Chissà!
“Bene ragazzi” oggi si ricomincia con la presenza, dopo mesi di dad (la famosa e criticatissima didattica a distanza), il potente mezzo online che viaggia sul filo della fibra quasi a ricordarci che ormai non serve più toccarci, basta un link, un invito su meet…Ed eccolo lì il mio Michael polemico e smagrito a ricordarmi che da lui, la linea non prende un granchè e se voglio interrogarlo deve essere cosa di pochi minuti… “Veloce prof.! Qui casca tutto”…. Il meet giornaliero mi riporta dei piccoli volti, a volte ci vediamo sfuocati, ore di dad ci consumano gli occhi e la schiena… Lorena, l’altro giorno ha preso un brufen, troppe ore seduta a seguire un sesseguirsi …”Ho male alla schiena, prof. Questa Dad uccide!”
Vi manca la scuola? “Ci manca la vita… Prof. Sono tre mesi che non vedo Luca- sa quel ragazzo che ho conosciuto l’anno scorso in Maremma…ad agosto…Ahhh si, prendevo il treno e correvo da lui, ecco vede prof. a me manca il suo bacio in pandemia… sentire quel calore, quel contatto…Insomma ha capito prof. che la mia vita non è fatta solo di libri…”. Simonetta al rientro a scuola è intrisa di nero, pure la mascherina è vestita a lutto…. “Tanto prof., la scuola sembra un cimitero … Mi dica lei che senso ha”! E’ un po’ ingrassata la Simo… “ehhhh prof mi hanno tolto la pallavolo, soffro di fame nervosa…sa la sera ho difficoltà a prender sonno… poi vi ci mettete pure voi… Siete impazziti con il virus, ci fate la nota solo se l’occhio non è fisso nel buco della telecamera… ma le pare? Mia mamma qualche volta vi ascolta e mi dice che siete strani, che lei ricordava un altro tipo di scuola, di lezione.” Simone invece ha le occhiaie, in video mi parevano più tenue, tendenti al violaceo, ha perso la nonna a causa del covid. “Lo ha preso lo zio da amici, sa prof, mio zio Lallo con questa pandemia non lavora più (era camerierein un noto ristorante del centro), non ce la faceva con l’affitto, è tornato da nonna ed è bastato poco, una febbre, uno spasmo. Mia nonna è andata via domenica scorsa, l’abbiamo sepolta veloce, non c’era molta gente… Sa prof., i paesani hanno paura che anche i crisantemi trasmettono il virus…” Ormai è psicosi collettiva. Sei un appestato, il colpevole, al tuo rimorso rimarrà il rimpianto delle cose non dette. Il virus non fa sconti ma è democratico, colpisce tutti e tutto. Ha colpito anche la classe.
Quella che si palesa a me questo lunedì mattina non è la mia terza, anche il piano è diverso così come il portone di ingresso, non più quello principale ma quello laterale, per evitare contatti, assebramenti tra gli studenti. Non li vedo da 4 mesi… “Ragazzi, allora come state”, “siete contenti di tornare a scuola?” “Prof., posso chiudere la finestra, sa fa freddo, siamo a febbraio non a giugno…”.Non si possono chiudere, dobbiamo fare circolare l’aria. L’odore di alcool e disinfettante si riversa sui nostri capi, è ovunque, in ogni cambio d’ora c’è lo spruzzino e il kleenex per disinfettare cattedra, sedia e tutto ciò che tocchiamo, ormai è quasi un gesto automatico… Entro, disinfetto, faccio lezione, disinfetto, esco… e si ricomincia… Guai a non seguire il decalogo, stavolta i vigili sono loro, gli studenti. A mezzogiorno la bidella mi comunica che la sorella di Martina (in classe con me) è positiva, lo ha preso a scuola. Invito l’alunna ad accomodarsi in aula covid. Scoppia a piangere, il mascara comincia a rigarle il viso, sembra il clown di se stesso. Le osservo le mani, le unghie poco curate, lo smalto si è perso in questi mesi di isolamento.. “Tanto a che serve prof. , mi dica lei a cosa mi serve…” “Serve a te, le rispondo, serve alla tua vita, alla tua gioventù”… Parole al vento. La portano via. Piange.