Albert Bourla è il presidente di Pfizer. Ma è anche e soprattutto un figlio dell’Olocausto. Che c’entra questo binomio con la pandemia e la corsa globale ai vaccini? C’entra perché Israele è stato il primo Paese ad avere ricevuto le dosi e sarà anche l’unico al mondo ad aver completato le vaccinazioni di massa entro marzo. E c’entra perché la scoperta della farmaceutica americana ha un nome ben preciso. “Ritorno alla vita” non significa solo dichiarare vinta la battaglia contro il virus, ma ricordare in particolare i milioni di ebrei sterminati – tra cui migliaia di medici e scienziati – che avrebbero potuto contribuire al miglioramento della salute globale. In vista della Giornata della memoria, mai storia fu più azzeccata.
Albert Bourla ha radici greche. La sua famiglia viveva da generazioni a Salonicco dove era presente una comunità importante: 60 mila ebrei impegnati particolarmente nel porto, al punto che le attività venivano sospese il sabato in occasione dello Shabbath, cioè la festa del riposo. Poi lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’invasione nazista della Grecia, propedeutica all’Operazione Barbarossa. In pratica l’offensiva contro la Russia. E la deportazione di massa a Birkenau dove 50 mila ebrei furono annientati in poche settimane. Tra i sopravvissuti, anche la famiglia Bourla. Nel 1961, la nascita del futuro presidente Pfizer: Israel Avraham (Albert) Bourla. Dopo la laurea in medicina veterinaria, il dottorato in biotecnologia all’Università di Salonicco. Infine il grande salto, al di là dell’Oceano. Negli Usa, a 34 anni, Bourla corona il suo sogno: entrare nell’industria farmaceutica. In Pfizer brucia rapidamente le tappe lavorando giorno e notte nei laboratori di ricerca che gli permettono di diventare responsabile dei vaccini globali. Nel 2019 la nomina a Ceo, poi la pandemia. E Bourla torna in prima linea guidando il pool di ricercatori che hanno messo a punto il vaccino. Il “Ritorno alla vita”.