Dopo i duri mesi del lockdown, durante i quali i centri per le IBD sono stati chiusi o disponibili solo per le urgenze, i medici impegnati nel fronteggiare l’urgenza pandemica, i pazienti colpiti dalla paura di recarsi in ospedale, finalmente si ritorna alla normalità. “Si tratta di una normalità distorta, algida, difficile per le norme di protezione di accesso alle strutture sanitarie per la protezione del paziente e del personale – dichiara Fernando Rizzello del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, IG-IBD -.Nonostante questo è importante che i pazienti ricontattino i propri centri di afferenza in modo da riprendere il controllo di malattia, perduto nel periodo precedente, e ristabilire i controlli periodici che sono indispensabili per seguire correttamente queste patologie. Questa fase della pandemia non modifica il nostro approccio a queste patologie, bensì bisogna evitare che diventi un motivo per evitare i controlli. Similmente, i pazienti con IBD devono seguire le stesse norme di prudenza della popolazione generale in merito all’uso della mascherina, del distanziamento sociale ed igieniche”.
Esiste il rischio che questa “nuova normalità” si interrompa presto a fronte di una seconda ondata pandemica. Nell’ampio dibattito che accende in queste settimane la comunità scientifica, gli specialisti di IG-IBD concordano su un punto: l’importanza della prevenzione e dell’abbattimento di tutti i fattori che potrebbero alimentare non solo il contagio, ma anche la paura dello stesso.
Estensione delle vaccinazioni
Gli specialisti gastroenterologi propongono quattro punti da cui far partire la prevenzione in vista dei rischi di una seconda ondata nella prossima stagione invernale: 1) una completa e preventiva estensione del vaccino influenzale, così da difendere la popolazione da preoccupazioni, coinfezioni e ulteriori costi economici; 2) promuovere opportune campagne di comunicazione e sensibilizzazione che ricordino l’importanza delle precauzioni da adottare durante il periodo autunnale; 3) invitare gli anziani e i pazienti più fragili a un lockdown preventivo; 4) ridurre le dosi di cortisone, su consiglio medico, qualora se ne faccia uso. “La seconda ondata pandemica al momento è sicuramente una realtà – dichiara Ambrogio Orlando, A.O. Ospedali Riuniti “Villa Sofia-Cervello”, Palermo, e membro del Comitato Educazionale di IG-IBD -, ma il rischio che l’arrivo dell’influenza alimenti preoccupazione e caos tra pazienti e personale sanitario è reale. La convivenza dei due virus, infatti, provocherà una incontrollabile confusione di sintomi. Occorre quindi dotarsi al più presto degli strumenti utili a discriminarli. Occorre quindi consolidare una “cultura della vaccinazione”, e anticipare i tempi di quel vaccino che è solito arrivare per metà ottobre. Se si potesse anticiparne la disponibilità a metà settembre, e renderlo quindi obbligatorio per tutti, dagli operatori dei servizi essenziali ai bambini, dai giovani agli anziani, si potrebbe contenere l’esplosione della malattia, riducendo il rischio di un nuovo lockdown ed evitando il sovraffollamento delle strutture sanitarie”.
L’importanza delle terapie
Numerose osservazioni hanno dimostrato che i pazienti con IBD non sono a maggior rischio di contrarre l’infezione da Covid-19. Né la malattia né la terapia immunosoppressiva sono fattori di rischio di maggiore frequenza di infezione o di sua maggiore gravità. Al contrario, la recidiva di malattia, magari spinta anche dalla sospensione della terapia in atto, può costituire un fattore aggravante. “E’ indicato, quindi, continuare la terapia in corso – aggiunge Rizzello – ed effettuare un controllo più ravvicinato dell’andamento di malattia. In caso di recidiva di malattia non vi è controindicazione all’utilizzo dei farmaci biotecnologici o agli immunosoppressori. Nulla di diverso rispetto al passato, quindi. Cambierà, invece, la modalità di gestione del paziente, con un maggior uso di forme elettroniche di visita rispetto alla classica visita ambulatoriale. L’introduzione della telemedicina, ad esempio, permetterà di individuare meglio i pazienti che hanno la necessità di essere visitati, rispetto ai pazienti che possono essere gestiti in maniera telematica. Questo permetterà di meglio gestire le risorse ed evitare rischiosi assembramenti”.
Il rapporto tra Covid e Mici
I pazienti affetti da Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (malattia di Crohn o colite ulcerosa) non più suscettibili all’infezione da Covid, né registrano una forma più severa della malattia. Dati dimostrano un’incidenza cumulativa di infezione da SARS-CoV-2 nei pazienti affetti da MICI di circa lo 0.25%, percentuale lievemente inferiore a quella “teorica” registrata a livello nazionale. I tassi di mortalità dei pazienti affetti da MICI e COVID-19 sembrano anch’essi lievemente inferiori (3%) rispetto a quelli della popolazione generale, seppur con variazioni geografiche non trascurabili. Diversi studi nazionali e internazionali dimostrano che i fattori di rischio per un’evoluzione peggiore della COVID-19 nei pazienti affetti da MICI sono risultati essere l’età avanzata, la presenza di comorbidità, la malattia intestinale attiva e l’utilizzo di corticosteroidi.